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Garlasco, l’impronta di Andrea Sempio vicino al corpo di Chiara Poggi e quel biglietto: «Ho fatto cose brutte»

garlasco impronta sempio chiara poggi malore biglietto
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La «traccia di interesse dattiloscopico» già repertata nel 2007. Ma ritenuta inutile. Perché l'alibi dello scontrino sarebbe falso. E c'è un altro malore da spiegare. Insieme a una serie di appunti gettati nella spazzatura

Un’impronta. Repertata come «traccia di interesse dattiloscopico» e il numero 33. È questa, secondo gli inquirenti, la prova che Andrea Sempio si trovava nella villetta di via Pascoli a Garlasco mentre Chiara Poggi veniva uccisa. Va a sommarsi al Dna sotto le unghie della vittima. E a un altro nuovo elemento. I bigliettini scritti dall’indagato e poi gettati nella spazzatura. I carabinieri li hanno recuperati. Scoprendo che l’amico di Marco Poggi dopo anni annotava ancora i suoi movimenti del giorno del delitto. Insieme a una frase che potrebbe avere un significato: «Ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare». Gli appunti verranno analizzati dal Racis di Roma. Per tracciare un profilo psicologico. Mentre l’alibi dello scontrino del parcheggio sarebbe falso. E c’è anche uno strano malore da spiegare.

L’impronta di Sempio

L’impronta della mano di Andrea Sempio di cui ieri abbiamo visto le foto non c’è più. Si trovava sul muro della scala che porta alla taverna di casa Poggi. Ai cui piedi venne trovato (da Alberto Stasi) il cadavere di Chiara. Adesso è stata cancellata insieme alle macchie e agli schizzi di sangue. È stata asportata grattando via l’intonaco con un bisturi sterile, fa sapere la relazione dei carabinieri. Perché non aveva nessuna utilità secondo la consulenza tecnico-scientifica del 2007. Perché «il combur test ha fornito esito dubbio e l’obti test ha fornito esito negativo», diceva il documento dei Ris allora comandati dal tenente colonnello Luciano Garofalo. Il quale, ironia della sorte, oggi è consulente della difesa di Sempio. Diciotto anni dopo gli stessi Ris dicono che ci sono 15 punti di corrispondenza con il palmo destro della mano dell’indagato. Mentre le macchie sono del sangue della vittima.

Alberto Stasi e Marco Poggi

Gli inquirenti hanno mostrato l’impronta ad Alberto Stasi e a Marco Poggi, fratello di Chiara e amico di Sempio. Il «biondino dagli occhi di ghiaccio» condannato per l’omicidio della fidanzata ha confermato di non averlo mai conosciuto. E che Chiara non gliene ha mai parlato. Il fratello della vittima invece di fronte all’impronta ha avuto un sussulto. Poi però ha detto che forse l’amico, oltre al salotto e alla stanza del pc di casa Poggi, frequentava anche la cantina. E, a differenza delle indiscrezioni di due giorni prima, non ha mostrato segni di ostilità nei confronti di Sempio. All’epoca i Ris trovarono anche altre due impronte sulla scala. Una apparteneva a un carabiniere che incredibilmente non aveva indossato i guanti prima di scendere in cantina. La seconda era proprio di Marco.

L’articolo 375 del Cpp

La scelta dell’indagato di non presentarsi all’interrogatorio invece si fonda sull’articolo 375 del Codice di procedura penale. È quello che ha ricordato Angela Taccia, oggi legale di Sempio e all’epoca fidanzata di Alessandro Biasibetti, nel frattempo diventato prete. Sul Corriere della Sera Luigi Ferrarella spiega il senso della scelta della difesa dell’indagato. Che parte da due circostanze precise: un testimone convocato da un pubblico ministero non può non presentarsi. Un indagato invece non è obbligato. A meno che la sua presenza non sia necessaria per un confronto, un prelievo di saliva o Dna e così via. La lettera D dell’articolo 375 indica che l’invito a comparire «contiene l’avvertimento che il pm potrà disporre nei confronti dell’indagato l’accompagnamento coattivo». Anche se poi lui conserva la facoltà di non rispondere.

La giurisprudenza

La difesa sostiene che l’atto è nullo perché privo di quell’avviso. L’accusa dice di non averlo messo perché l’invito era rivolto soltanto a un interrogatorio. Una sentenza della Cassazione indica che ignorare un invito a comparire «non integra (il reato di) inosservanza ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria». Perché appunto è possibile l’accompagnamento coattivo. Che però, hanno sentenziato i giudici del Palazzaccio, deve essere contenuto come avvertimento all’interno dell’invito. Quindi, a prima vista, sembrerebbe che la ragione sia dalla parte di Sempio. Ma la «guerra dura senza paura» annunciata su Instagram dall’avvocata Taccia ora varrà anche per la procura. Che non convocherà di nuovo l’indagato: «Era un atto nel suo interesse. Non lo riteniamo più un passaggio necessario nelle indagini».

I bigliettini

L’altro elemento che per ora i pm Stefano Civardi, Valentina De Stefano e Giuliana Rizzo, insieme al procuratore di Pavia Fabio Napoleoni, contestano a Sempio sono alcuni biglietti ritrovati nella spazzatura. A rovistare sono stati i carabinieri di Milano, incaricati della seconda indagine. Si tratta di una serie di manoscritti. Secondo il Corriere della Sera, alcuni sembrano avere a che fare con la fase esecutiva del delitto. Altri parlano di cose «inimmaginabili». La Repubblica aggiunge uno dei testi: «Ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare». Anche qui il significato è interpretabile. Per questo sarà il Reparto Analisi Criminologiche dei carabinieri di Roma ad analizzarli per fornire un profilo di chi li ha scritti.

Il malore

Infine, c’è un malore da spiegare. Lo ha avuto Sempio il 4 ottobre 2007, ovvero nel giorno in cui è andato a portare il famoso bigliettino del parcheggio di Vigevano datato 10 agosto 2007 ore 10.18 che doveva diventare il suo alibi per l’omicidio. Di questo malore, che ha richiesto per una quarantina di minuti l’intervento di un’ambulanza e degli infermieri, ha incredibilmente parlato per la prima volta Daniela Ferrari, madre di Sempio. Parlando, e senza sapere di essere registrata, con l’inviato delle Iene Alessandro De Giuseppe. Nel verbale aperto alle 10.30 e chiuso alle 14.40 dai carabinieri Gennaro Cassese e Flavio Devecchi non risultava. E i due, sentiti dagli inquirenti, hanno detto di non ricordare nulla. Ma cercando nell’archivio del 118 risulta l’intervento dell’ambulanza. Ufficialmente a causa di un calo di pressione.

La madre di Sempio

Anche la madre di Sempio ha avuto un malore durante un interrogatorio. La 65enne si è sentita male in caserma a Milano. Proprio mentre si parlava dell’alibi del figlio e del parcheggio di Vigevano. È accaduto quando gli inquirenti hanno citato per nome e cognome Antonio B., pompiere e suo amico. Che forse lei incontrò proprio quel 13 agosto 2007. E questo c’entrerebbe, ma non c’è ancora certezza del perché, proprio con quello scontrino.

Daniela Ferrari

Ma Ferrari nell’incontro con le Iene ha detto anche altro. Ha parlato di presunte liti tra cugine (le gemelle Paola e Stefania Cappa e la vittima). Di cui una, rivelata da una testimone, proprio domenica, il giorno prima del delitto. La madre di Sempio ha anche espresso dubbi sulla colpevolezza di Stasi. E qui una domanda sorge spontanea: perché lo ha fatto se sapeva che quello del figlio era un alibi falso e quello che aveva detto avrebbe potuto portare a nuove indagini?

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