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Dazi, Trump concede una tregua ma l’Ue resta nel mirino: l’impatto sul Pil e i settori più colpiti

26 Maggio 2025 - 14:55 Filippo di Chio
dazi trump usa ue cina
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Posticipata al 9 luglio la maxi-tariffa del 50% sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti

Prima il D-day, giorno dei dazi al 50% per tutta l’Unione europea, era fissato per l’1 giugno. Al termine di una telefonata con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il presidente americano Donald Trump ha annunciato il rinvio della misura fino al 9 luglio: «È stato un mio privilegio farlo. La presidente ha assicurato che le trattative inizieranno rapidamente», ha scritto il tycoon sui social. Intorno alle tariffe commerciali ordinate e subito ritrattate dalla Casa Bianca c’è il caos più assoluto: minacce, contro-minacce, dimostrazioni di forza e magnanimità ostentate. Rimangono però fissi gli obiettivi di Washington: acciaio, alluminio e i settori automotive, farmaceutico, chimico e alimentare. Oltre che, ovviamente, l’Unione europea nella sua interezza, schiacciata da una tassa generale del 10%. Anche la motivazione per questi dazi è, almeno ufficialmente, sempre la stessa: il deficit commerciale, cioè il fatto che l’Ue esporta negli Usa più di quanto gli Usa non esportino nell’Ue. Se però l’aliquota sull’export dovesse effettivamente schizzare al 50%, un ruolo non secondario lo avrà giocato anche la Cina.

I negoziati von der Leyen-Trump e l’impatto dei dazi sul Pil

Una telefonata «positiva» che offre un «nuovo slancio» alle trattative tra Bruxelles e Washington, così è stato definito il dialogo tra von der Leyen e Trump dalla portavoce della presidente della Commissione Ue. Il traguardo rimane, però, lontano: «Sono negoziati complessi e richiedono tempo, è la più grande relazione commerciale al mondo». Ed effettivamente così è: beni per un valore di 530 miliardi di euro sono stati trasportati dal Vecchio Continente agli Stati Uniti solo nel 2024, secondo i dati forniti dall’esecutivo europeo. Ciò significa circa il 20% di tutto l’export dell’Unione europea. Facile, dunque, intuire l’impatto devastante che nuove tariffe potrebbero avere sull’economia. Per intenderci, quando lo stesso Trump aveva annunciato per il 2 aprile tariffe al 39%, le stime del Pil europeo prevedevano un contraccolpo del -0,2%. Cifra che sprofonderebbe al -0,5% se l’aliquota fosse fissata, come minacciato, al 50%. Ci sono ovviamente Paesi colpiti di meno e Paesi colpiti di più. In particolare la top 3 degli esportatori negli Usa – Germania, Irlanda e Italia – che, da soli, contano per il 56% dell’intero blocco europeo. Per l’Italia, secondo i calcoli del Kiel Institute, significherebbe un calo del Pil dello 0,6%

L’effetto dei dazi Usa sull’Europa: dal settore auto al farmaceutico

Al di là dei calcoli fantasiosi con cui la Casa Bianca ha quantificato il surplus delle esportazioni europee, la minaccia dei dazi pende come una spada di Damocle su diversi settori commerciali. Nel 2024, secondo l’associazione dei produttori di auto Acea, oltre 757mila vetture sono state trasportate dall’Unione europea agli Stati Uniti, per un valore complessivo di 39 miliardi di dollari. Su queste, allo stato attuale, pesa una tassa del 2,5%. In sospeso, invece, due ulteriori provvedimenti: il 25% minacciato in aprile e il 50% posticipato al 9 luglio. Cifra che non è chiaro se dovrà essere sostituita al dazio iniziale o semplicemente sommata, andando così a costituire una tariffa del 75%. In ogni caso l’obiettivo per Washington è dichiarato apertamente: «Vogliamo che mandino le loro fabbriche sul nostro territorio».

C’è poi il settore farmaceutico, finora risparmiato dai dazi ma fermamente nel mirino della Casa Bianca per i suoi 80 miliardi di valore annuo che gli Usa non hanno modo di pareggiare. Il timore, oltre che un notevole impatto a livello di fatturato e introiti per le grandi aziende europee, è che le tariffe si vadano soprattutto a riversare sui consumatori. «Dobbiamo evitare i dazi a tutti i costi, potrebbero creare una carenza di medicinali nel continente», ha spiegato al Financial Times Nathalie Moll, direttrice della Federazione europea dell’industria farmaceutica. Ma il leader americano sembra deciso: «Noi non produciamo i nostri medicinali, le aziende sono in Irlanda e in molti altri posti. Come la Cina».

La rabbia di Trump contro l’Ue, il tycoon vuole tariffe europee contro la Cina

Sempre qui si torna, insomma. A Pechino, all’altra superpotenza economica mondiale che gli Stati Uniti avevano cercato di azzoppare con tariffe – poi per ovvie ragioni sospese – fino al 145%. Perché con i dazi al 50% giurati all’Unione europea la Cina c’entra eccome. O meglio, stando al Wall Street Journal, c’entra la lentezza con cui Bruxelles sta valutando di imporre tariffe contro le industrie e le aziende di Pechino, un punto su cui Washington sta spingendo parecchio percependo da parte europea una sorta di resistenza passiva. «Credo che sia una semplice risposta alla lentezza dell’Ue», ha commentato Scott Bessent, segretario del Tesoro, parlando dei dazi al 50%. «Spero che questa mossa accenda un fuoco sotto Bruxelles». Insomma, Trump vuole una netta accelerata da parte dell’Unione europea: sia nelle trattative con Washington, magari con l’alleggerimento delle tariffe che Bruxelles applica sugli Usa, sia contro Pechino.

Tariffe alla Cina: sì dal Regno Unito, l’Ue temporeggia

Che la promessa di applicare dazi aggiuntivi contro Pechino sia sufficiente a sbloccare negoziati bloccati lo dimostra il caso britannico. Keir Starmer, primo ministro del Regno Unito, ha infatti promesso l’imposizione di tariffe sull’acciaio di produzione cinese. Un passo che, sebbene non decisivo, secondo il Wall Street Journal avrebbe aiutato a chiudere l’intesa commerciale raggiunta lo scorso 8 maggio. Il fatto che su questo campo l’Unione europea sia invece intenzionata ad approfondire ulteriormente la sua partnership con Pechino proprio in ottica anti-americana, di certo non può far altro che indispettire Donald Trump. Al di là della minaccia delle tariffe al 50%, i toni anti-europei non sono diminuiti: l’Ue rimane una «organizzazione creata per truffare gli Stati Uniti». Per Bruxelles, Washington e Pechino sono entrambi mercati fondamentali e perché si arrivi a una dichiarazione di «guerra dei dazi» contro uno dei due serve che venga quasi forzata la mano. Forse anche per questo, per una sorta di doppio gioco tra Cina e Stati Uniti, Donald Trump è convinto che l’Ue sia «ancora più cattiva» della stessa Cina.

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