Garlasco, così i rilievi nella villetta smontano la condanna di Alberto Stasi: «L’assassino di Chiara non ripulì lavabo e dispenser»


La persona che ha aggredito e ucciso Chiara Poggi nella villetta di Garlasco il 13 agosto 2007 non si sarebbe lavata le mani in bagno e non avrebbe pulito poi dispenser e lavabo dalle tracce di sangue. È quanto emergerebbe dalla ricostruzione alternativa dell’omicidio su cui si concentrano le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e della procura di Pavia. In questo, secondo quanto riferisce l’Ansa, il fascicolo che vede al momento come unico indagato Andrea Sempio si differenzierebbe dalla ricostruzione su cui si è basata la sentenza di condanna definitiva per Alberto Stasi.
Le impronte sul dispenser
Uno scenario del tutto diverso, dunque, da quello messo nero su bianco dalla sentenza d’appello bis su Stasi, confermata dalla Cassazione coi 16 anni di pena, che indicò tra le prove a carico dell’ex bocconiano quelle «due impronte» trovate «sul dispenser del sapone», che l’aggressore «sicuramente» utilizzò «per lavarsi le mani dopo il delitto». La posizione delle due impronte «e la non commistione del Dna della vittima», per la Corte, «dimostrano che maneggiò il dispenser per lavarlo accuratamente, dopo essersi lavato le mani e aver ripulito il lavandino».
Lavandino e dispenser «non sono stati lavati dall’aggressore»
Gli investigatori, che tentarono di riaprire le indagini già cinque anni fa, segnalarono che era vero, come accertato anche dal Ris, che il lavandino del bagno del piano terra era «privo di tracce ematiche», ma che «è impossibile che il lavandino e il dispenser» siano stati «lavati accuratamente dall’aggressore». E ciò perché su quel dispenser, oltre alle due impronte di Stasi, vennero repertate «numerose impronte papillari sovrapposte» che sarebbero state «cancellate» in caso di lavaggio. A rafforzare ulteriormente questa tesi, c’è il fatto che vi fu trovato pure il Dna di Chiara e della madre, a ulteriore riprova del fatto che non venne ripulito. E ancora: una fotografia scattata nei primi sopralluoghi mostrava la presenza di quattro capelli «neri lunghi», mai repertati, alcuni vicino allo scarico, e ciò indica, per inquirenti e investigatori, che «il lavandino non è mai stato lavato dalla presenza di sangue». Altrimenti sarebbero stati «portati via dall’acqua».
I frammenti papillari
C’è da dire, poi, che in una consulenza della difesa Stasi del 2020, firmata da Oscar Ghizzoni, veniva scritto che sul dispenser, oltre alle due impronte di Stasi, ci sarebbe stato anche un «frammento papillare» denso «di informazione dattiloscopica». Più in generale, le due impronte di Stasi erano «parzialmente sovrapposte ad altre impronte» e c’erano almeno altri sette «contatti papillari». Sulle impronte, tra l’altro, e in particolare sui «para-adesivi», ossia sulle fascette in cui sono conservate, saranno effettuate analisi genetiche nell’incidente probatorio, che potrebbero dare risposte su Dna ed eventuali identificazioni. Nella consulenza dattiloscopica, di recente depositata, si dà conto di 58 impronte in totale contenute in «trentacinque adesivi dattiloscopici». Tra l’altro, anche un frammento del tappetino del bagno sarà tra i tanti reperti che saranno analizzati nel maxi incidente probatorio genetico.
L’impronta 10
In questo quadro gli investigatori inseriscono pure quell’ormai nota impronta 10 sulla porta d’ingresso dell’abitazione, in particolare sulla parte interna, che si ritiene potrebbe essere stata lasciata dall’assassino prima di fuggire. Delitto, tra l’altro, che potrebbe essere stato commesso da più persone. Gli esiti di una nuova consulenza dattiloscopica su quell’impronta 10, però, hanno indicato che non è di Sempio (a cui è attribuita la 33 sul muro delle scale vicino al corpo), né di Stasi, né delle gemelle Cappa, né degli altri amici di Marco Poggi.