Una delle ragazze che ha denunciato il prof poi assolto a Catania: «Mi hanno detto che io provocavo»


Santo Torrisi, docente di medicina all’università di Catania, è stato assolto dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di sue sette studentesse. Secondo i giudici il professore non ha usato né «le dita per palpare» né ha fatto «alcuna allusione sessuale». È vero, le mani erano poggiate sul seno. Ma «senza alcuna pressione particolare». Oggi a Repubblica parla Micol, una delle sette che hanno denunciato. Ha raccontato in aula che il docente di Tecniche di Fisiopatologia circolatoria la toccava, le chiedeva notti di sesso, prometteva lavoro e promozioni. Poi è andata ad ascoltare la sentenza: «Ad ogni passaggio la cicatrice si allargava. Oggi, però, sono grande e il dolore per quello che ho subito da un professore quando ero una ragazza, so portarlo con me. Come fosse una borsetta. Quella mattina ho messo nella pochette l’ultima sofferenza, non avere giustizia».
La studentessa e la sentenza
Nel colloquio con Corrado Zunino Micol dice che se lo aspettava: «Mi è bastato seguire le udienze per capire che sarebbe finita così. Quando parlavano gli avvocati dell’imputato, i tre giudici, due erano donne, li guardavano negli occhi, prendevano appunti. Quando toccava ai nostri, allo stesso pubblico ministero, risatine, battute sussurrate all’orecchio». E poi: «I giudici hanno scritto che non ci sono state prove schiaccianti. Sette donne, più altre due nel ruolo di testimoni, hanno offerto versioni convergenti: non è una prova schiacciante? L’ ha riconosciuto la sentenza: il professor Santo T. è stato un predatore. Poi, però, l’hanno assolto. Chi sceglie di denunciare tardi, dopo aver patito in silenzio, non porta foto, non ha video. Solo la sua parola».
La deposizione
Micol dice che in Aula ha raccontato un episodio: in classe le cade il libretto universitario, il prof, quando lei si china per raccoglierlo, si strofina su di lui eccitato: «Il suo difensore mi ha interrotto. Disse che mi ero messa di proposito in quella posizione. Nessuno della corte lo ha fermato. Per raggiungere il libretto avrei dovuto genuflettere le ginocchia, ha detto. Il processo è stato la continua giustificazione di un reato, più reati. Le versioni dei difensori erano subito credibili. I nostri racconti, dieci anni dopo, dovevano essere dettagliati, spiegati, motivati. I giudici cercavano una ragione per assolvere l’imputato. Le motivazioni della sentenza sembrano il riassunto dell’arringa finale della difesa, compreso quel passaggio: se il seno viene toccato con i palmi e non le con le dita non c’è violenza».
La tesi di laurea
Eppure Micol ha fatto la tesi di laurea con Torrisi. E questo ha incrinato la sua credibilità. Ma oggi spiega: «Era l’unico modo per scappare da lui. Andare in Venezuela tre mesi con il mio fidanzato, costruire la tesi con l’aiuto di chi mi era vicino ed evitare di trascorrere l’estate al lavoro con il professore. Il relatore ha firmato la tesi, ma non c’è nulla di suo nel testo». Poi ci sono le intercettazioni, che hanno rivelato che lei e un’altra, Alessandra, avevano suggerito alle altre cosa dire alla polizia: «Eravamo sette ragazze spaventate, a cui stavano portando via la giovinezza. Certo, ci telefonavamo, volevamo sapere com’era andato l’interrogatorio. Avevamo paura di parlare con le famiglie, volevamo finire gli studi. Con quale finalità, poi, avremmo inscenato un teatrino? Cinque studentesse sono fuggite dal policlinico».
La denuncia
Per questo, spiega, oggi non tornerebbe a denunciare: «La cicatrice fa male, ma voglio metterci ancora il cuore sopra. Chi ci ha fatto violenza si presentava in aula con le figlie e la moglie e quel 25 febbraio, dopo la sentenza, ha chiamato in reparto per urlare la sua innocenza. Noi, invece, siamo di nuovo in discussione».