Luigi Mangione progettava un attentato, l’ossessione per i «parassiti» delle assicurazioni e la scelta di uccidere Thompson «per fare notizia»


Emergono nuovi dettagli sul caso di Luigi Mangione, il 27enne accusato dell’omicidio di Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealthcare, ucciso il 4 dicembre 2024 durante una conferenza per investitori a New York. Secondo gli appunti scritti a mano di Mangione – visionati dal New York Post e resi pubblici dal procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg – il 27enne avrebbe ucciso il Ceo della compagnia di assicurazioni e gestione sanitaria per ottenere «visibilità mediatica». Il cosiddetto “manifesto” di Mangione, rinvenuto nel suo zaino al momento dell’arresto, rivelerebbe infatti «un uomo ossessionato dall’immagine e dalla notorietà».
Mangione avrebbe anche pianificato un attentato con una bomba
Nel testo, il giovane esprimeva il suo risentimento verso l’industria delle assicurazioni sanitarie, accusandola di «estrarre la forza vitale umana per soldi». Nel suo scritto, il giovane rifletteva inoltre sul modo migliore per manifestare la sua ribellione contro quello che definiva un «cartello letale guidato dall’avidità». «Quindi dici che vuoi ribellarti contro il letale cartello delle assicurazioni sanitarie guidato dall’avidità. Bombardi la sede centrale? No. Bombe = terrorismo», si legge nel documento. Stando a quanto riporta il quotidiano Usa, Mangione avrebbe anche pianificato un attentato mediante l’utilizzo di una bomba, ma decise infine di non portare a termine quel progetto perché avrebbe causato vittime innocenti. «Per certi versi sono contento di aver procrastinato perché questo mi ha permesso di imparare di più su UHC», si legge nei documenti del tribunale.
L’assassinio per generare scalpore mediatico
Inizialmente Mangione avrebbe pensato di compiere un «evento catastrofico» nel Maryland, suo Stato natale, ma si disse poi sollevato per aver rimandato, definendo l’attacco «ingiustificato» e «inutilmente crudele». Al contrario, spiegava Mangione nel suo scritto datato 22 ottobre, avrebbe preferito «uccidere il Ceo alla convention annuale dei parassiti contabili», un gesto «mirato e preciso» che «non avrebbe messo a rischio gli innocenti». La sua scelta di colpire Thompson in un evento pubblico, infatti, aveva come obiettivo principale quello di generare scalpore mediatico. «Il punto è chiaro nel titolo delle notizie: Ceo delle assicurazioni ucciso alla conferenza annuale degli investitori», scriveva Mangione. «Un’immagine di un bastardo avido che se l’è cercata. Il pubblico può così concentrarsi sull’avidità e discutere l’evento in modo ragionevole e accettabile».
Le critiche a Unabomber
Nei documenti depositati dal procuratore distrettuale di Manhattan, il 27enne esprimeva timori riguardo alla reazione del pubblico e analizzava persino l’impatto finanziario dell’omicidio sull’azienda. «Il colpo è un vero colpo basso per le finanze della compagnia. Tutti quegli analisti e investitori istituzionali che erano venuti per essere corteggiati dai dirigenti delle assicurazioni? Quell’opportunità viene spenta in un istante», scriveva l’accusato. Tra le sue riflessioni, Mangione criticava anche Ted Kaczynski, Unabomber, accusandolo di non aver saputo comunicare efficacemente il suo messaggio politico ai «normali», a causa della violenza indiscriminata con cui colpiva gli innocenti.
La nota indirizzata alla polizia
Nel momento del suo arresto, pochi giorni dopo l’omicidio, Mangione aveva con sé una nota indirizzata alle autorità federali in cui dichiarava di non aver agito con complici e descriveva la sua azione come frutto di «ingegneria sociale elementare» e «molta pazienza». Nella stessa nota chiedeva scusa per il trauma causato, ma ribadiva che «questi parassiti se lo meritavano». I legali di Mangione hanno chiesto di escludere dal processo i suoi scritti trovati nello zaino al momento dell’arresto, sostenendo che i diritti costituzionali del loro assistito non siano stati rispettati. I procuratori hanno accettato di tenere udienze preliminari per decidere sull’ammissibilità delle prove.
L’udienza del 26 aprile scorso
Il 26 aprile scorso, Mangione – che è detenuto in un carcere di Brooklyn ed è diventato una sorta di star dei social proprio in seguito all’omicidio – si è dichiarato innocente dell’uccisione di Thompson durante il processo nell’aula del tribunale federale di Manhattan. Nelle ore precedenti la prima udienza, i procuratori federali avevano depositato la notifica della loro intenzione di chiedere la pena di morte, come suggerito peraltro dalla procuratrice generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, che aveva definito il gesto di Mangione come «un atto di violenza politica» che «ha scioccato l’America». Mangione, che si è laureato all’Università della Pennsylvania e appartiene a un’importante famiglia immobiliare del Maryland, deve affrontare due accuse separate di omicidio: una a livello federale, per cui rischia la pena di morte, e una statale, per cui rischia l’ergastolo.