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«Mahmoud Khalil va rilasciato»: l’ordine del giudice a Trump. Così l’attivista pro-Pal della Columbia University torna in libertà

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Lo studente è in carcere in Louisiana da oltre tre mesi. Per il giudice la sua carcerazione è una «ritorsione per il suo attivismo politico»

Un giudice federale statunitense ha ordinato all’amministrazione di Donald Trump di rilasciare su cauzione lo studente e attivista palestinese della Columbia University Mahmoud Khalil. Lo riporta il New York Times. Il giovane, noto per il suo ruolo di spicco nelle manifestazioni organizzate lo scorso anno nel campus dell’Ateneo, è l’unico tra i principali attivisti pro-Pal ancora in carcere negli Stati Uniti. Il giudice Michael E. Farbiarz, della Corte distrettuale federale di Newark (New Jersey), ha accolto il ricorso presentato dai legali di Khalil, definendo la sua detenzione «motivata da intenti punitivi» legati al suo attivismo politico. «C’è un fondo di verità nell’affermazione secondo cui si sta tentando di usare l’accusa di immigrazione per punire il signor Khalil», ha dichiarato Farbiarz, durante un’udienza durata oltre due ore. «E ovviamente questo sarebbe incostituzionale». 

EPA/JUSTIN LANE

Le motivazioni dell’arresto

Lo studente era stato arrestato sulla base di una norma poco utilizzata, che consente l’espulsione di stranieri ritenuti ostili alla politica estera americana. L’amministrazione Trump aveva giustificato la misura accusandolo, senza fornire prove concrete, di legami con Hamas e di promuovere l’antisemitismo. Il segretario di Stato, Marco Rubio, aveva inoltre rilanciato pubblicamente queste accuse, poi respinte con forza dai legali di Khalil. Una settimana dopo l’arresto, le autorità hanno poi mosso nuove accuse nei suoi confronti, sostenendo che avrebbe commesso irregolarità procedurali nella sua richiesta di cittadinanza. Tuttavia, il giudice Farbiarz ha già stabilito che «né le contestazioni legate alla politica estera né quelle di carattere amministrativo possono giustificare un prolungamento della sua detenzione».

«Detenzione arbitraria e intimidatoria»

Khalil non è mai stato formalmente incriminato per alcun reato penale, precisa il Nyt. Secondo i suoi difensori, che hanno definito la detenzione del loro assistito «arbitraria e intimidatoria», il caso rappresenta un esempio lampante di repressione del dissenso, in un contesto politico e sociale sempre più teso attorno al conflitto israelo-palestinese. L’amministrazione Trump ha però ancora la possibilità di proseguire con le procedure di espulsione nei suo confronti, nonostante sua moglie e il figlio neonato siano cittadini statunitensi.

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