Hormuz: l’Iran, la risposta agli Usa e il blocco dello stretto su cui transita il 20% del petrolio mondiale


Sarà lo stretto di Hormuz la risposta dell’Iran all’attacco Usa? Attraverso lo stretto transita il 20% del petrolio mondiale. Teheran produce circa 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno: è il nono produttore mondiale. E di questo ne esporta poco meno della metà (1,5 milioni). L’Iran ha promesso di difendersi il giorno dopo che gli Stati Uniti hanno sganciato bombe bunker-buster da 30.000 libbre sulla montagna sopra il sito nucleare iraniano di Fordow. L’emittente iraniana Press TV ha affermato che la chiusura dello stretto richiede l’approvazione del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, organismo guidato da un membro nominato dalla Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei.
Il prezzo del petrolio
Chiudere lo stretto può far schizzare alle stelle i prezzi globali del petrolio, far deragliare l’economia mondiale e provocare un conflitto con la Quinta Flotta della Marina statunitense, di base nel Golfo e incaricata di mantenerlo aperto. Gli analisti di mercato hanno affermato che il greggio dovrebbe aumentare di 3-5 dollari al barile alla ripresa delle contrattazioni. Gli esperti di sicurezza hanno a lungo avvertito che un Iran indebolito potrebbe anche trovare altri modi non convenzionali per contrattaccare, come attentati o attacchi informatici.
La Cina
Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha invitato la Cina a sollecitare l’Iran a non chiudere lo Stretto di Hormuz in risposta agli attacchi di Washington contro i siti nucleari di Teheran. «Incoraggio il governo cinese a contattarli in merito, perché dipendono fortemente dallo Stretto di Hormuz per il loro petrolio», ha detto Rubio, che è anche consigliere per la Sicurezza nazionale, parlando a Fox News dopo che il Parlamento iraniano ha approvato il blocco strategico dello Stretto attraverso cui transita oltre il 20% di petrolio e gas mondiale demandando la decisione finale al Consiglio supremo di sicurezza nazionale.

Il precedente
Il Global Times, il tabloid del Quotidiano del Popolo, ha già reagito criticando duramente in un editoriale l’intervento americano del fine settimana pro Israele. E osservando che «ciò che le bombe Usa hanno colpito è il fondamento dell’ordine di sicurezza internazionale. Attaccando gli impianti nucleari sotto la tutela dell’Aiea, Washington ha creato un pericoloso precedente». E ha detto che una volta che lo stretto «sarà bloccato dalla guerra, i prezzi internazionali del petrolio sono destinati a fluttuare drasticamente, mentre la sicurezza del trasporto marittimo globale e la stabilità economica dovranno affrontare serie sfide».
La palla nel campo di Teheran
Secondo Reuters adesso la palla è nel campo di Teheran. Che non ha ancora colpito nessun sito statunitense. Il petrolio è in rialzo di quasi il 2%, ma ben lontano dai picchi iniziali di cinque mesi, poiché gli analisti notano che l’OPEC ha un’ampia offerta extra da aggiungere se lo desidera. I future sulle azioni di Wall Street sono in calo dello 0,3%, dopo aver iniziato con perdite dell’1%, mentre i future europei sono in calo di circa lo 0,4%.
Il dollaro è leggermente più forte rispetto all’euro e allo yen, riflettendo la dipendenza dell’Ue e del Giappone dalle importazioni di petrolio e GNL e lo status degli Stati Uniti come esportatore netto. I rendimenti dei titoli del Tesoro sono leggermente in rialzo, quindi non ci sono molte offerte di titoli rifugio. Mentre i future sui fondi federali sono in calo, probabilmente a causa del rischio che un aumento sostenuto dei costi energetici possa aumentare la pressione inflazionistica proprio mentre i dazi si fanno sentire sui prezzi.
I prezzi al top
Ma i prezzi del petrolio sono balzati aggiungendo il livello più alto da gennaio. Hanno segnato prima un rialzo del 4% poi hanno ripiegato. Sui circuiti asiatici il Brent ora passa di mano a 77,90 dollari al barile in progresso dell’1,16%. I future sul WTI avanzano dell’1,18% a 74,71 dollari. Secondo Goldman Sachs, il Brent potrebbe raggiungere un picco di 110 dollari al barile se il flusso di petrolio attraverso lo stretto di Hormuz venisse dimezzato per un mese, per poi rimanere in calo del 10% nei 11 mesi successivi. La banca d’affari continua a non prevedere interruzioni significative dell’approvvigionamento di petrolio e gas naturale. Dall’inizio del conflitto tra Iran e Israele, il Brent è aumentato del 13% mentre il WTI ha guadagnato circa il 10%.