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In Iran aumenta la repressione di chi dissente. L’attivista Niknaam a Open: «Temevamo la fine della guerra. Sapevamo che sarebbe arrivata la vendetta»

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Le autorità della Repubblica islamica hanno arrestato più di 700 persone. Fermato e poi rilasciato il rapper dissidente Toomaj Salehi. Abbiamo intervistato la sua portavoce: «Si trova tuttora sotto minaccia del regime»

A Teheran continua la repressione di ogni forma di dissenso da parte del regime. Da quando è iniziata la guerra tra Israele e Iran, le autorità della Repubblica islamica hanno arrestato più di 700 persone accusate di essere «mercenari di Tel Aviv», e di far parte di «reti di spionaggio e sabotaggio». La maggior parte sono attivisti e dissidenti politici. Tra loro c’è anche Hossein Ronaghi, voce critica del regime, che durante il conflitto ha pubblicamente chiesto il rilascio dei prigionieri politici. Da tre giorni non si hanno più sue notizie. Anche il rapper Toomaj Salehi, già simbolo delle proteste contro il regime e detenuto per quasi 800 giorni fino al suo rilascio nel 2024, è finito nuovamente nel mirino dell’intelligence del regime degli Ayatollah.

Fermato nei giorni scorsi, Salehi è stato rilasciato dopo 5 ore di detenzione, ma gli è stato intimato di non condividere contenuti critici sui social. «Rimane tuttora sotto forte pressione e minaccia da parte dell’apparato di intelligence del regime», denuncia la sua portavoce e attivista per i diritti umani Negin Niknaam a Open. «Numerosi altri giovani, tra cui fotografi, scrittori e artisti – prosegue l’attivista iraniana -, sono stati arrestati negli stessi giorni: in questo momento la società civile sta pagando un prezzo altissimo». L’ennesima stretta di un regime che mira a soffocare ogni forma di dissenso, in un momento di grande instabilità politica e sociale. «È per questo che molti in Iran temevano la fine della guerra – continua – Sapevano che, una volta finita, ci saremmo trovati di fronte a un regime ferito, pronto a vendicarsi». 

«Vogliamo rimanere vivi per continuare a lottare contro il regime»

EPA/ABEDIN TAHERKENAREH

A pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono i civili. Un popolo che da oltre quarant’anni resiste e combatte contro la repressione del regime teocratico. «Quella appena conclusa non era la nostra guerra», dice a Open uno studente universitario di Teheran. Molti giovani dopo il cessate il fuoco temono di parlare apertamente, consapevoli delle possibili ritorsioni. «Non abbiamo paura di morire, ma vogliamo restare vivi per continuare a lottare per la nostra libertà», racconta ancora un giovane pittore che, attraverso la sua arte, denuncia la repressione del regime. Nessuno dei due ha mai lasciato la capitale, nemmeno nei giorni più intensi del conflitto.

Dopo che Israele ha cominciato a bombardare l’Iran uccidendo i vertici militari, il regime ha cominciato a temere per la propria stabilità. Alì Khamenei è riemerso ieri dall’oscurità in cui era avvolto da giorni e si è mostrato in un video al popolo per dichiarare la «vittoria» sugli Stati Uniti e su Israele. La Guida Suprema dovrebbe essere ancora in un bunker in una località segreta, dove si è nascosto da quando sono cominciati gli attacchi il 13 giugno scorso, perché le Forze di difesa israeliane «potrebbero ancora tentare di ucciderlo, anche durante un cessate il fuoco», sostiene l’analista politico Hamzeh Safavi, figlio di un generale delle Guardie della rivoluzione. 

«Gli iraniani non hanno mai chiesto che un altro Paese rovesciasse il regime per loro»

EPA/ABEDIN TAHERKENAREH

Sul futuro dell’Iran non c’è certezza: nessuna «liberazione» auspicata da Netanyahu si è verificata, e neppure un regime change su cui puntava Donald Trump. Khamenei è rimasto al potere, starebbe infatti continuando a governare il Paese, nonostante protocolli di sicurezza estremi, inclusi contatti limitati con il mondo esterno. «Gli iraniani non hanno mai chiesto che un altro Paese rovesciasse il regime per loro – precisa l’attivista Negin Niknaam -. La verità è che abbattere un regime pesantemente armato e repressivo, che spara ai propri cittadini, è semplicemente impossibile senza un aiuto militare. Ecco perché molti iraniani hanno accolto con favore il fatto che Israele stesse indebolendo le forze repressive della Repubblica Islamica».

Durante la guerra-lampo, in molti «speravano nell’uccisione di Khamenei». E se ciò fosse accaduto, continua la portavoce del rapper Toomaj, «il regime sarebbe quasi certamente crollato: la sua morte avrebbe innescato una crisi di successione e una lotta interna tra le fazioni mafiose della Repubblica islamica. Sebbene il regime abbia già previsto scenari per l’era post-Khamenei, la sua eliminazione rappresenterebbe un colpo durissimo, forse irreversibile e segnerebbe l’inizio del suo crollo». Il cessate il fuoco non è una buona notizia per molti: «Che la comunità internazionale lo accetti o meno – continua l’attivista iraniana -, il popolo non ha accolto con sollievo la fine del conflitto. Molti speravano che il proseguimento della guerra avrebbe indebolito a tal punto l’apparato repressivo da permettere finalmente al popolo di scendere in piazza e rovesciare il regime. Oggi, invece, con il cessate il fuoco, il prezzo che la società iraniana sta pagando è altissimo – conclude Niknaam -: basta un semplice atto di dissenso per essere accusati di spionaggio a favore di Israele, un crimine punito con l’esecuzione o almeno dieci anni di carcere».

Foto copertina: ANSA / EPA/ABEDIN TAHERKENAREH | Iraniani partecipano a una manifestazione a Teheran, Iran, il 24 giugno 2025

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