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Il piano di Israele e Usa per cacciare gli abitanti di Gaza dalla Striscia: la «città umanitaria» sulle macerie di Rafah

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«Una volta dentro non potranno più uscire», spiega il ministro Katz. Il premier israeliano candida Trump al Nobel per la pace: «È ben meritato»

A dirlo è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu durante la sua cena alla Casa Bianca con Donald Trump: Israele sta collaborando con gli Stati Uniti per trovare altri paesi in cui i palestinesi sfollati possano vivere. «Ci sono persone che vogliono rimanere o possono rimanere, ma se vogliono andarsene, dovrebbero poterlo fare. Non dovrebbe essere una prigione. Dovrebbe essere un luogo aperto, e si dovrebbe dare alle persone la libertà di scelta», ha sostenuto. E ancora: «Stiamo lavorando a stretto contatto con gli Stati Uniti per trovare paesi che cercheranno di realizzare ciò che dicono sempre, se vogliono dare ai palestinesi un futuro migliore e penso che ci stiamo avvicinando a trovare diversi Paesi. Abbiamo avuto una grande collaborazione da parte di molti Paesi limitrofi, una grande collaborazione da ognuno di loro. Quindi qualcosa di buono accadrà».

Netanyahu candida Trump al Nobel per la pace

Nel corso della cena alla Casa Bianca, Netanyahu ha anche rivelato di aver candidato Trump al Nobel per la pace. «Voglio presentarle, signor presidente, la lettera che ho inviato al comitato per il Premio Nobel, nominandola per il premio per la pace, che è ben meritato», ha detto il premier israeliano a favore di telecamera. E Trump, che non ha mai nascosto il suo desiderio di essere insignito del riconoscimento recapitato anche a Barack Obama, gli ha risposto: «Grazie. Detto da te è molto significativo».

La città umanitaria

Quello che deve accadere a Gaza lo ha invece esposto alla stampa il ministro della Difesa Israel Katz. Ovvero costruire sulle macerie di Rafah una «città umanitaria» per 600 mila gazawi. Il piano riguarda il sud della Striscia di Gaza e Katz ha anche annunciato di aver dato mandato alle forze armate di elaborarne i dettagli. E, spiega oggi Repubblica, prevede che durante la tregua che dovrebbe essere siglata a Doha (sempre che l’accordo venga raggiunto) l’Idf cominci a predisporre la costruzione della città umanitaria a Rafah. Dove, dopo uno screening di sicurezza, intende spostare 600 mila palestinesi sfollati ad Al Mawasi. «Una volta dentro, non potranno più uscire», spiega il ministro. Che vuole successivamente concentrare lì tutta la popolazione della Striscia. Il progetto è coordinato dall’ex comandante delle forze armate Amir Baram, oggi direttore generale del ministero della Difesa.

«Il piano di emigrazione»

L’esercito garantirà la sicurezza nel perimetro esterno. Ma non gestirà il sito. Né si occuperà della distribuzione di cibo e aiuti umanitari al suo interno. Katz ha apertamente parlato di un «piano di emigrazione» da mettere in atto. E ha aggiunto che Netanyahu sta già cercando altri paesi disponibili ad accogliere i palestinesi di Gaza. Sempre secondo l’«emigrazione volontaria». E che il piano sia serio lo dimostra quello che ha scritto il Financial Times la settimana scorsa. Ovvero che il Boston Consulting Group – che già ha collaborato alla nascita della controversa Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) – ha studiato un modello finanziario per la ricollocazione fuori dalla Striscia, al costo di 9 mila dollari a persona, di 500 mila palestinesi. Quasi il numero indicato da Katz per la sua «città umanitaria»,

L’esercito

Il capo di stato maggiore dell’Idf Eyal Zamir ha detto davanti alla Corte Suprema che l’esercito non ha intenzione di espellere la popolazione di Gaza. Specificando che questo non è tra gli obiettivi dell’operazione Carri di Gedeone. In ballo c’è anche la proposta di creare «aree umanitarie di transito volontario», dentro la Striscia ma potenzialmente anche fuori, dove sistemare gli sfollati palestinesi. Due miliardi di dollari per allestire campi dove, scrive la Reuters , «la popolazione potrà risiedere temporaneamente, deradicalizzarsi, reintegrarsi».

Gaza e Trump

Il piano di Israele trova l’accordo di Trump. Il presidente ha proposto l’occupazione di Gaza da parte degli Stati Uniti in un discorso all’inizio di febbraio. Suggerendo anche un espulsione permanente dei palestinesi dall’enclave. Il piano è stato condannato a livello globale: palestinesi, nazioni arabe, le Nazioni Unite ed esperti di diritti umani che lo hanno definito equivalente a una «pulizia etnica». Cinque giorni dopo essere diventato presidente Trump ha affermato che Giordania ed Egitto avrebbero dovuto accogliere i palestinesi da Gaza, suggerendo al contempo di essere aperto al fatto che si trattasse di un piano a lungo termine. «Vorrei che l’Egitto accogliesse le persone, e vorrei che la Giordania accogliesse le persone (da Gaza)», disse all’epoca Trump, aggiungendo di aver parlato quel giorno con il re di Giordania Abdullah. «È letteralmente un cantiere di demolizione… quindi preferirei collaborare con alcune nazioni arabe e costruire alloggi in un luogo diverso dove loro (i palestinesi) possano forse vivere in pace, per una volta».

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