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Matteo Materazzi e la Sla: «Una malattia infame. Ho paura di non veder crescere i miei figli»

Matteo e Marco Materazzi
Matteo e Marco Materazzi
La diagnosi risale a un anno fa. La speranza oggi in un farmaco Usa

Matteo Materazzi ha una diagnosi di Sla. Risale a 12 mesi fa e gradualmente il fratello di Marco campione del mondo 2006 e figlio di Beppe, allenatore di Serie A, ha perso l’uso degli arti. «Devo essere aiutato per andare in bagno, farmi una doccia, salire in macchina. Per mangiare mi devono imboccare, le mani le muovo ancora, ma non riesco a tirare su il braccio. Questa malattia è infame perché ti toglie giorno dopo giorno qualcosa», dice oggi in un’intervista a Repubblica. 49 anni, agente sportivo e anche lui ex calciatore, ora è a Porto Taverna in Sardegna: «Veniamo qui da 40 anni, io e Marco seguivamo papà in giro per l’Italia, mia sorella Monia studiava a Roma. Era il nostro punto di ritrovo. Mi lega anche a mia madre, che era di Cagliari».

La madre e la diagnosi

La madre dei Materazzi è morta quando Matteo aveva 13 anni. «Un tumore al seno. Non ne ero cosciente, nessuno mi avvisò che sarebbe potuta morire. Anche per questo ho scelto di dire tutto subito ai miei figli, Geremia e Gianfilippo, così possono metabolizzare». Ha capito tutto durante «una partita di calciotto con gli amici, a marzo del 2024. Non correvo bene. Pensavo a un’ernia del disco, avevo preso una botta saltando una staccionata. Ho fatto gli esami, tra cui una risonanza a contrasto che aveva scongiurato sclerosi e Sla: questa malattia non si manifesta in modo chiaro». Due mesi dopo era a un torneo della Fondazione Vialli e Mauro: «Ero in tribuna in pantaloncini, ero caduto da poco e avevo le gambe tirate su. Claudio Marchisio mi vide e si insospettì, Massimo Mauro mi chiese se poteva mettermi in contatto col professor Sabatelli del Centro NeMo, a Roma. Mi visitò il 4 settembre, appena mi vide mi disse che avevo la Sla».

La quotidianità

Ora, spiega, «la notte è lunga. Non prendo mai sonno. Sono steso e si addormenta una parte del corpo che non riesco a muovere, il formicolio aumenta e diventa crampo. Devo chiedere aiuto a mia moglie Maura per fare cose banali. Di giorno esco con gli amici, porto Gianfilippo all’allenamento. Non sono mai solo, persino il mio pitbull Gilda ha capito che qualcosa non va, mi lecca le gambe, è diventata la mia ombra. Mi sposto su una sedia speciale, con un cuscino che mi fa stare eretto. Costa tanto, dalla Asl abbiamo ricevuto una piccola parte dei soldi. I malati di Sla spendono cifre enormi, i tempi della burocrazia sono lentissimi, quelli della malattia rapidi. Abbiamo pagato 100mila euro solo per rendere la mia giornata vivibile. Noi possiamo, per gli altri è un inferno. La nostra sanità è ottima, ma continuiamo a tagliare risorse. Spendiamo per le armi, puntiamo sulla morte invece che sulla vita».

La mutazione

La speranza di oggi, spiega Materazzi, «è trovare una cura per la mutazione che ha colpito me come tante altre persone, 300 solo in Sardegna. Magari non mi salverò io, ma altri sì. Ci muoviamo su due binari, insieme a una famiglia calabrese e una pugliese: la Columbia University ci ha chiesto 1,5 milioni per finanziare la produzione di un ASO (un frammento genetico artificiale per inibire la malattia, ndr), un laboratorio di San Diego un milione per cercare un farmaco che potrebbe poi essere sintetizzato e portato in Italia. Ci proviamo, non so se il tempo che ho mi basterà». Finora hanno raccolto «duecentomila euro. Ringrazio Antonio Conte e la moglie Elisabetta, Simone Inzaghi e sua moglie Gaia, ma anche chi ha donato cinque euro. Mi ha scritto Ibrahimovic, mi ha mandato una emoticon e mi ha fatto forza. L’ho conosciuto quando giocava con Marco».

La speranza

Oggi la moglie «è il mio faro, mi dà la forza per andare avanti, altrimenti avrei già mollato. Prima della diagnosi ci eravamo allontanati, ero andato via di casa. Con la malattia ci siamo riavvicinati. Sarei perso senza di lei». Il messaggio che le ha fatto più piacere è «quello di Pancaro. Avevamo avuto dei problemi, ha saputo andare oltre, lui come tanti altri». La cosa che lo spaventa di più oggi è «non veder crescere i miei figli». E la speranza? «Con la malattia che ho mi è vietato averla. Provo a vivere al massimo, finché posso. E di notte sogno di correre».

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