Hamas: «Pronti a un accordo per la fine della guerra e rilascio di tutti gli ostaggi». Netanyahu scettico: «È solo l’ennesimo trucco»


In una dichiarazione ufficiale, Hamas ha annunciato di essere pronto a raggiungere un accordo complessivo per porre fine alla guerra e liberare tutti gli ostaggi. Poche ore prima, Donald Trump aveva lanciato l’ennesimo messaggio all’organizzazione palestinese, perché rilasciasse tutti gli ostaggi. Sul suo social Truth, il presidente americano aveva scritto: «Dite ad Hamas di restituire immediatamente tutti i 20 ostaggi (non 2, 5 o 7!) e le cose cambieranno rapidamente. Finirà!». In una nota citata da Ansa, Hamas dice di essere pronto all’accordo e fornisce i dettagli: «Tutti i prigionieri nemici attualmente detenuti verranno liberati, in cambio di un numero concordato di prigionieri palestinesi detenuti da Israele, nel contesto di un’intesa che porterà alla fine della guerra nella Striscia di Gaza».
Le condizioni di Hamas per liberare tutti gli ostaggi
«Tale accordo includerà: Il ritiro completo delle forze d’occupazione da tutta la Striscia; l’apertura dei valichi per l’ingresso di tutti i beni e le necessità della popolazione; l’avvio di un processo di ricostruzione. Inoltre, il movimento rinnova la sua disponibilità a formare un governo nazionale indipendente composto da tecnocrati, che gestisca integralmente gli affari della Striscia di Gaza e si assuma immediatamente tutte le responsabilità in tutti i settori». Hamas aggiunge: «Stiamo ancora aspettando la risposta di Israele alla proposta che le è stata trasmessa dai mediatori il 18 agosto scorso, proposta che è stata accettata dal movimento e dalle fazioni palestinesi».
Netanyahu non crede all’«ultimo trucco di Hamas»
Il premier israeliano ha risposto con scetticismo all’annuncio di Hamas di mercoledì sera in cui si dice pronto a un accordo globale. «Purtroppo, si tratta di un ennesimo trucco mediatico di Hamas, che non contiene nulla di nuovo. La guerra può finire immediatamente, ma solo alle condizioni stabilite dal Gabinetto di Sicurezza: liberazione di tutti gli ostaggi; smantellamento dell’arsenale di Hamas, smilitarizzazione completa della Striscia, controllo di sicurezza israeliano sulla Striscia; istituzione di un’amministrazione civile alternativa, che non sia una minaccia per Israele».
Il No di Netanyahu alla visita di Macron
Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha respinto la richiesta del presidente francese Emmanuel Macron di visitare Israele. Lo riferisce l’emittente pubblica di Tel Aviv, Kan. Parigi ha annunciato il riconoscimento di uno Stato palestinese all’Assemblea Onu di settembre. Netanyahu ha condizionato la visita del capo dell’Eliseo al ritiro dell’iniziativa, richiesta che il leader francese ha respinto, riferisce l’emittente.
Le evacuazioni di Gaza city verso Sud
Sarebbero tra le 70 e le 80 mila i residenti che hanno già abbandonato Gaza City dirigendosi verso Sud in vista dell’annunciata intensificazione delle operazioni militari in città. A fornire la stima è la tv pubblica israeliana Kan, che cita fonti interne alla Difesa. Secondo l’Idf, Hamas starebbe però impedendo alla poplazione civile di abbandonare la città «al fine di usarli come scudi umani e per scopi di propaganda». L’esercito israeliano ha anche diffuso una presunta conversazione telefonica tra un ufficiale e un abitante di Gaza city che denuncia i tentativi di Hamas si impedire alla popolazione di spostarsi verso sud: «Vogliamo andare verso sud, ma Hamas ci aspetta lungo la strada. Dicono alla gente: tornate a casa, non c’è evacuazione, tornate indietro, tornate indietro, e la gente si disperde. Le persone hanno davvero paura» si ascolta.
Attacco in Libano all’Unifil
L’Unifil ha fatto sapere che alcuni droni israeliani hanno sganciato quattro granate nei pressi delle forze di pace, in quello che è stato definito «uno degli attacchi più gravi» contro il proprio personale dal cessate il fuoco di novembre. «Una granata è caduta a meno di 20 metri di distanza dal personale e dai veicoli delle Nazioni Unite, mentre le altre tre sono cadute a circa 100 metri. I droni sono stati osservati mentre rientravano a sud della Linea Blu» ha dichiarato la forza Onu. «Le Idf erano state informate in anticipo dei lavori di sgombero stradale in corso da parte dell’Unifil nella zona, a sud-est del villaggio di Marwahin. Per motivi di sicurezza, i lavori di ieri sono stati sospesi a causa dell’incidente. Qualsiasi azione che metta in pericolo le forze di pace e i loro beni, nonché qualsiasi interferenza con i compiti loro assegnati, è inaccettabile e costituisce una grave violazione della Risoluzione 1701 e del diritto internazionale». Ferma la condanna di Antonio Tajani e Guido Crosetto, il ministro della Difesa ha detto: «E’ un atto rilevante, grave. E la differenza con gli episodi passati è che questo fatto, che ha toccato Unifil ed anche il nostro contingente, non è un errore, una cosa accaduta indipendentemente dalla volontà dell’IDF ma, a quanto ha comunicato Unifil, una scelta precisa. Tanto precisa da parte loro quanto incomprensibile ed inaccettabile da parte nostra. Esprimerò con tutta la forza possibile al mio omologo israeliano la nostra totale disapprovazione (e qualcosa in più) per quanto accaduto»
Report Onu: «40 mila bambini con ferite legate alla guerra»
E dopo l’appello lanciato dall’Onu a proposito della carestia che sta colpendo la popolazione di Gaza, un ultimo drammatico report del Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità registra un dato allarmante sulle condizioni dei bambini. Almeno 21 mila bambini a Gaza vivono con disabilità causate dalla guerra tra Israele e Hamas dal 7 ottobre 2023. Circa 40.500 bambini hanno subito «ferite legate alla guerra» in quasi due anni, ha affermato il comitato, composto da esperti che si riuniscono due volte all’anno a Ginevra.
Israele dichiara «terra statale» 45 ettari in Cisgiordania
Sull’altro fronte teatro di scontri con la popolazione palestinese, oggi l’mministrazione civile del ministero della Difesa israeliano ha dichiarato «terra statale» 456 dunam, 45 ettari, di territorio nel nord della Cisgiordania, il che significa che sarà disponibile per lo sviluppo di insediamenti e infrastrutture.
In precedenza, il terreno faceva parte delle terre amministrative dei villaggi palestinesi vicini di Jit, Tell e Fara’ata, anche se non si tratta di proprietà privata. Chiunque rivendichi la proprietà privata di queste terre può presentare ricorso entro 45 giorni. Gli Emirati Arabi Uniti hanno reagito duramente alla notizia, avvertendo che l’annessione in Cisgiordania potrebbe compromettere la stabilità dei patti di Abramo firmati nel 2020: «Fin dall’inizio, abbiamo considerato gli accordi come un modo per continuare a sostenere il popolo palestinese e la sua legittima aspirazione a uno Stato indipendente», ha dichiarato Lana Nusseibeh, viceministro per gli Affari Politici e inviato del ministro degli Esteri. «Questa era la nostra posizione nel 2020 e rimane la nostra posizione».
Cassonetti bruciati sotto casa di Netanyahu
Giornata di disordini e proteste a Gerusalemme da parte della popolazione civile che chiede la liberazione degli ostaggi e la fine immediata della guerra. Le prime contestazioni, guidate dai alcuni dei genitori degli ostaggi, sono iniziate alle prime luci dell’alba, con i manifestanti che hanno incendiato diversi cassonetti a meno di 100 metri di distanza dalla residenza del premier Benjamin Netanyahu, per creare un «anello di fuoco» attorno al luogo. Diversi residenti sono stati evacuati dagli edifici vicini, sebbene nessuno sia rimasto ferito, i vigli del fuoco hanno dichiarato che diverse auto sono state danneggaite.
Ben Gvir: «Ondata di incendi è terrorismo»
Nel mirino delle proteste anche l’abitazione del ministro Ron Dermer, attuale incaricato per le negoziazioni per rilascio degli ostaggi, accusato di non essere riuscito a ottenere il ritorno di un singolo persona da quando è in carica. In una dichiarazione i manifestanti parlano di «fallimento totale» dei colloqui e accusano il governo di capitolare di fronte all’estrema destra. Proprio uno dei ministri dell’area più estrema, Ben Gvir, ha definito «terrorismo» gli incendi di cassonetti e automobili di questa mattina. «L’ondata di incendi dolosi e terroristici di questa mattina nei pressi dell’abitazione del Primo Ministro nel quartiere di Rehavia è avvenuta con il sostegno del procuratore generale che vuole bruciare il Paese», ha dichiarato, riferendosi al procuratore generale Gali Baharav-Miara, che si è scontrato con il governo. Intanto alcune persone si sono barricate nell’edificio della Biblioteca nazionale di Gerusalemme e sono salite sul tetto: la polizia sta negoziando con loro per farle scendere
Intercettato missile dallo Yemen
Sul campo di battaglia, per la prima volta dopo settimane, tornano a suonare le sirene d’allarme a Tel Aviv. L’Idf ha fatto sapere che le difese aeree hanno intercettato il missile balistico lanciato dagli Houthi, dal territorio dello Yemen, contro Israele. Poco dopo le sirene sono risuonate anche nell’area di Gush Dan, Gerusalemme, Yarkon, Lachish, Shfela e nelle pianure della Giudea. Il livello di allerta è molto alto poichè Israele teme ulteriori attacchi dallo Yemen, dopo il raid della scorsa settimana in cui ha ucciso il primo ministro e decine di esponenti governativi yemeniti a Sanàa.
Il rifiuto dei riservisti
E mentre le operazioni militari a Gaza City continuano, un gruppo di 365 riservisti contrari alla conquista della città ha annunciato in una lettera che non si sarebbe più presentato in servizio in caso di richiamo a combattere. «Siamo oltre 365 soldati, e il numero continua a crescere, che hanno prestato servizio durante la guerra e hanno dichiarato che non si presenteranno in servizio quando saranno richiamati», ha dichiarato ieri il sergente Max Kresch in una conferenza stampa a Tel Aviv. «Ci rifiutiamo di prendere parte alla guerra illegale di Netanyahu e consideriamo un dovere patriottico rifiutare e chiedere conto ai nostri leader». Il gruppo di soldati che si oppone all’estensione del conflitto è composto da uomini che hanno preso parte all’iniziale difesa israeliana dopo il 7 ottobre: «È proprio questo stesso senso del dovere che ci spinge a rifiutare», ha concluso Kresch.