Netanyahu e Rubio al Muro del Pianto: «Segno della forza dell’alleanza Usa-Israele». Il Qatar invoca sanzioni contro Tel Aviv, l’Idf pronta a invadere Gaza City


«Basta con i due pesi e le due misure». È la sollecitazione rivolta oggi alla comunità internazionale e agli alleati occidentali dal primo ministro del Qatar, Mohammed ben Abdelrahman Al-Thani, nel corso di una riunione con leader di vari Paesi arabi e musulmani convocata per rispondere all’attacco condotto nei giorni scorsi da Israele su Doha per colpire dirigenti di Hamas in esilio nell’emirato. Attacco che i partecipanti hanno nuovamente condannato, come riportano vari media britannici, invocando sanzioni internazionali per punire «i crimini» israeliani. Tutto questo avviene mentre l’Idf ha schierato centinaia di carri armati, mezzi corazzati e bulldozer lungo il confine nord di Gaza per la manovra imminente di conquista di Gaza City. E mentre il segretario di Stato americano Marco Rubio e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si sono recati insieme al Muro del Pianto per una preghiera, in un incontro dal significato altamente simbolico.
L’Idf pronta all’invasione di Gaza City
Come riporta il sito israeliano Ynet, le unità di fanteria regolari guideranno l’incursione, con il supporto delle brigate già presenti intorno a Gaza City. La manovra denominata “Carri di Gedeone 2” si svilupperà gradualmente. I generali prevedono almeno 3 o 4 mesi di combattimenti e ritengono che Hamas non si arrenderà. Migliaia di miliziani di Hamas, intanto, restano trincerati nel centro di Gaza e nei campi di sfollati attorno ad al-Mawasi.
La missione di Rubio
La seconda missione in Israele del segretario di Stato americano Marco Rubio si è aperta con un gesto altamente simbolico: la preghiera al Muro del Pianto accanto al premier Benjamin Netanyahu, kippah in testa. «Un segno della forza dell’alleanza israelo-americana, solida come le pietre che abbiamo appena toccato», ha commentato il leader israeliano, cogliendo subito l’occasione per rimarcare l’intesa con Washington. Dietro la retorica ufficiale, però, il viaggio di Rubio poggia su basi molto meno solide. Poco prima di partire, lo stesso segretario di Stato aveva chiarito che l’obiettivo principale della missione era capire con precisione quale sia la strategia israeliana su Gaza, ancora poco chiara anche per la Casa Bianca, e valutare gli effetti dell’attacco a Doha contro Hamas.
Le conseguenze dell’attacco israeliano a Doha
La posizione di Trump rimane ambigua: il presidente dice di voler liberare tutti gli ostaggi e sradicare Hamas con un’azione rapida e decisiva, ma i fatti raccontano altro. Netanyahu, infatti, non sembra voler imboccare la strada di un accordo. L’operazione di Doha, voluta dal premier nonostante le perplessità dei vertici della sicurezza, rischia ora di avere contraccolpi anche per gli Stati Uniti: complicare gli sforzi diplomatici e incrinare i rapporti con un alleato cruciale nella regione, il Qatar. Rubio non lo ha nascosto: «Trump non è affatto soddisfatto di quanto accaduto», ha dichiarato, lasciando intendere che l’amministrazione stia tentando di ricucire.
Il dossier sulla Cisgiordania
Ma il dossier più delicato rimane quello della Cisgiordania. Secondo indiscrezioni raccolte da Axios, Netanyahu vuole testare fin dove può spingersi con Trump sull’annessione di alcune aree della West Bank, una mossa che sarebbe una risposta ai recenti riconoscimenti dello Stato palestinese arrivati in sede Onu. Il capo della diplomazia americana ha cercato di stemperare: l’espansione degli insediamenti è «una reazione israeliana agli sforzi per legittimare lo Stato palestinese», ha detto, ricordando che gli Usa avevano messo in guardia Paesi come la Francia sul rischio di una controreazione da parte di Israele. Il punto è che qualsiasi apertura americana su un’annessione in Cisgiordania potrebbe mettere in crisi l’architettura degli Accordi di Abramo, vero perno della strategia di Trump in Medio Oriente. Per questo, la visita di Rubio a Gerusalemme segna non solo un momento di chiarimento con Israele, ma anche un bivio per la politica estera statunitense nella regione.