De Benedetti lascia il Domani, la proprietà passa alla fondazione: «Non scappo, ma un giorno morirò». I conti e la dote da 4 milioni


Carlo De Benedetti ha annunciato il passaggio della proprietà del quotidiano Domani a una fondazione, mantenendo l’impegno preso nel 2020. L’Ingegnere ha raccontato la sua decisione a Primaonline.it proprio nel giorno del quinto anniversario della testata, il 15 settembre. «La mia idea da sempre era che, quando il giornale fosse stato in equilibrio economico, l’avrei passato a una fondazione. E oggi, cogliendo l’occasione del compleanno dei cinque anni, rispetto quella promessa. Avrei potuto cambiare opinione, visto che il mondo è radicalmente mutato, ma sono rimasto fedele a quell’idea».
I numeri del progetto: 4 milioni di dote
La fondazione riceverà una dote iniziale di 4 milioni di euro per garantire la continuità del progetto editoriale. Attualmente Domani non ha ancora raggiunto il pareggio. Le perdite si aggirano intorno al milione di euro, ma le previsioni indicano un azzeramento delle perdite entro un anno grazie alla strategia digitale e agli abbonamenti basati sulle newsletter verticali. De Benedetti spiega che «insieme a Campo Dall’Orto troveremo persone di alto profilo, in sintonia con la vocazione editoriale del giornale: progressiste, indipendenti, riformiste». L’imprenditore precisa: «Io non scappo: un giorno morirò, ma questo è un altro discorso. Continuerò a seguire con passione il giornale, anche se non sarà più mio ma della fondazione».
Il progetto nato durante la pandemia
Per comprendere questa decisione bisogna tornare al 2020, quando De Benedetti, dopo aver perso la guida di Repubblica e del gruppo Gedi, ceduti dai figli a John Elkann, decise in piena pandemia di fondare una nuova testata. «Sono nato a Torino, dove dopo l’esilio in Svizzera per sfuggire alle leggi razziali, ho vissuto la stagione straordinaria della ricostruzione», racconta De Benedetti. «A Torino c’era il mondo del Partito d’Azione, con figure come Galante Garrone e Bobbio, intellettuali che avevano una visione chiara dei diritti». L’imprenditore, spesso additato dai detrattori come «tessera numero 1 del Pd», rivendica la propria autonomia: «Non ho mai preso la tessera di un partito, nemmeno quando La Malfa mi propose di fare il senatore. Ho coltivato la mia indipendenza e le mie idee di libertà».