Festival di Open, Cesare Cremonini: «Dobbiamo ridare ai ragazzi il diritto di sognare» – Il video
«È perché mia madre mi ruppe la chitarra sulla schiena che io scrissi 50 Special. Ero bloccato sullo stesso giro di accordi e solo quando non ebbi più la chitarra in mano mi alzai e trovai la melodia giusta al pianoforte». Quella di Cesare Cremonini ospite della seconda giornata del Festival di Open – intervistato da Malcom Pagani, già vicedirettore de Il Fatto Quotidiano e Vanity Fair, ora amministratore delegato di Tenderstories – è stato un viaggio d’ispirazione tra ricordi del passato e aspirazioni future. Un brano iconico, 50 Special, datato 1999, ma che l’artista definisce ancora oggi «un punto di arrivo» della propria carriera. Ad accogliere il cantautore, una piazza Garibaldi gremita, a cui subito ha dedicato un pensiero: «Le piazze italiane sono un luogo che ho visitato per piacere, dove conosci la gente». Un inizio nostalgico, con un occhio all’alba della propria carriera, quando si esibiva soltanto nei luoghi della sua regione, l’Emilia-Romagna, «un grande mare piatto», come lo ha definito.
Il ricordo degli esordi
«Viviamo un tempo in cui siamo abituati sempre di più a trovare una scusa per qualunque nostra debolezza- ha detto – ma è nei sogni e nei desideri che offriamo a noi stessi il nostro destino». Una sorta di appello rivolto alla piazza di concedersi di sognare ancora. «Quando ero ragazzino ero sicuro che avrei fatto questo mestiere ed ero certo che le stelle avrebbero girato per me». Poi, subito un altro ricordo, più concreto: «A 16-17 la mia professoressa di matematica mi trovò sul banco che scrivevo canzoni fingendo di prendere appunti, lei mi disse: “Cremonini, non facciamo poesia, per favore”. Quello fu un punto di svolta, pensai che fosse strano perché la poesia per me era tutto».
La scrittura prima, la musica poi
Cremonini ha raccontato di come per lui sia iniziata prima la poesia, all’età di 9-10 anni, seguita solo dopo dalla musica. Ancora bambino iniziò a scrivere parole che sua madre – «La Carla», come la chiama affettuosamente – conserva ancora. Ad aiutarlo ad aggiungere un sottofondo ai versi, è stato lo studio della musica classica. «Perdermi dentro a un rondò di Beethoven voleva dire entrare in contatto con emozioni molto più grandi di me». Emozioni come malinconia e tristezza, che gli avrebbero fornito delle armi per far fronte a sentimenti a cui sarebbe andato incontro con meno paura in età adolescenziale.
La non-lotta contro la tristezza e l’esordio da «comico»
La stessa tristezza che lo accompagna ancora oggi nel lavoro di cantautore. «Qualche giorno fa un mio amico mi ha chiesto cosa significasse fare il mio mestiere e io ho risposto che è saper convivere con la tristezza, non lottare contro di lei, ma, come diceva Lucio Dalla, trattarla come una “compagna”». Una sorta di ricerca del dolore, che Cremonini ritrova anche negli occhi delle persone. «La prima cosa cosa che ho sognato di fare nella vita era il comico, gli altri bambini all’asilo assistevano ai miei spettacoli perché ero convinto che l’ironia fosse un’arma di conquista». Era una forma di richiesta di amore e di approvazione.
La vita senza musica
Se non ci fosse stata «avrei combinato disastri in altri mestieri», scherza Cremonini. Poi torna serio: «Spero di poter dire che sarei stato uno che avrebbe cercato di risolvere i problemi in altri settori». Una carriera lunga decenni che lo ha portato da frontman dei Luna Pop a «erede di Lucio Dalla», come lo definì lo stesso cantautore che con lui condivideva la città di d’origine. «Spero in giorno di aver fatto tutte le tappe che servono per stare in silenzio». Ma per ora, rimane la musica l’unico faro: «Mi sarei perso, probabilmente, se non ci fossero state le canzoni a ricordarmi dove fossi».
Il sassofono per imparare a improvvisare, come Lucio Dalla
A 45 anni Cremonini ha iniziato a studiare il sassofono. «Da bambino ho assimilato le regole che sarebbero durate per sempre. Una era che suonare uno strumento fosse qualcosa che potesse portarti più lontano nella carriera, un’altra era che il successo significava che tutti conoscessero ciò che stavi facendo e lo apprezzassero, queste verità sono venute meno: suonare uno strumento non è più necessario e al primo posto in classifica spesso c’è una canzone che non conosci». Ma il cantautore ha scelto di restare fedele ai valori della sua infanzia. «Io non voglio morire senza sapere improvvisare jazz come faceva Lucio Dalla».