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Festival di Open, in arrivo su Netflix «Il Mostro», la serie di Sollima sul caso che ha segnato l’Italia: «La sfida era raccontare l’orrore senza morbosità» – Il video

21 Settembre 2025 - 12:31 Cecilia Dardana
La nuova serie Netflix in quattro episodi sul mostro di Firenze è in arrivo sulla piattaforma il 22 ottobre e indaga la cosiddetta "pista sarda"

«Il mostro poteva essere chiunque». Così l’attrice Francesca Olia riassume la forza della nuova serie Netflix Il Mostro, diretta da Stefano Sollima, che l’ha anche creata insieme a Leonardo Fasoli, e in arrivo sulla piattaforma dal 22 ottobre. Presentata in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, la serie in quattro episodi torna a raccontare il caso del Mostro di Firenze, uno dei più lunghi e controversi della storia italiana. Al Festival di Open di Parma abbiamo incontrato Olia, insieme alla producer Gina Gardini e al consulente storico Francesco Cappelletti, che hanno condiviso con noi le sfide e la responsabilità di un racconto ancora oggi doloroso.

La pista sarda

«È stato uno dei casi più mediatici degli ultimi trent’anni – spiega Cappelletti –. Diversamente da altri, l’individuazione di un colpevole è claudicante: Pacciani è stato condannato, poi assolto, i complici restano poco convincenti e i possibili mandanti non sono mai stati individuati. Per questo è difficile mettere la parola “fine”». Ma la peculiarità della serie è proprio quella di guardare la vicenda da una prospettiva diversa: non si concentra sul mito giudiziario di Pacciani e dei “compagni di merende”, ma ripercorre quella nota come “pista sarda”. «Per avere un quadro completo – racconta Gardini – bisognava partire dalla cosiddetta pista sarda. Negli anni ’90 quell’immaginario ha oscurato tutto il resto, ma prima ci furono altri arresti e altre ipotesi. Noi le abbiamo ricostruite senza aggiungere nulla che non fosse documentato».

Gina Gardini, producer

Dare voce alle vittime

Una storia difficile da raccontare e da mettere in scena, non solo perché si tratta di un caso irrisolto su cui è stato fatto un enorme lavoro documentale, ma anche perché la responsabilità più grande è stata quella di rispettare la memoria delle vittime. Olia interpreta Barbara Locci, la donna uccisa nel 1968 insieme al suo compagno. «Ho sentito la responsabilità di renderle giustizia. Le informazioni su di lei sono poche e indirette, spesso raccontate da chi la maltrattava. Il lavoro più grande è stato restituirle una voce, far emergere la sua modernità». Gardini aggiunge: «Non volevamo lasciarla congelata in un giudizio dell’epoca. Era una donna troppo avanti per il suo tempo e per la sua condizione sociale. La serie le restituisce tridimensionalità».

Francesca Olia, attrice

Il rischio della morbosità

Le difficoltà pratiche e artistiche nel mettere in scena una storia così delicata sono state tante. Affrontare una vicenda simile significava anche muoversi su un confine sottile, quello che separa la cronaca dall’intrattenimento. Una delle sfide maggiori, infatti, è stata proprio quella di non trasformare «il dolore in intrattenimento o, all’opposto, di attenuare l’orrore per renderlo più accettabile», come scrive Sollima in una nota di presentazione della serie. «Era uno dei pericoli da scansare a tutti i costi – spiega Cappelletti -, di cui abbiamo parlato fin da subito. Stefano ha detto che non avremmo girato in nessun luogo dove sono avvenuti gli omicidi, scelta molto rispettosa. Impegnativo a livello emotivo. Prima di girare le scene io raccontavo la dinamica omicidiaria del caso, poi Stefano con molta attenzione riportava i fatti essenziali senza soffermarsi su dettagli che non avrebbero aggiunto niente».

Francesco Cappelletti, consulente storico

Il fascino del true crime

Perché il pubblico continua a essere attratto dal true crime? «Il male è più affascinante del bene – risponde Gardini –. Prima si raccontava dal punto di vista degli inquirenti o delle vittime, oggi invece si scava nella psicologia di chi commette i crimini». Cappelletti cita il libro I buoni lo sognano, i cattivi lo fanno dello psichiatra Robert Simon e spiega: «Dentro ognuno di noi c’è una parte oscura, che fortunatamente resta sopita, ma che affascina più del bene».

I mostri intorno a noi

La serie non dà risposte definitive, ma lascia aperte domande. «Molto spesso – osserva Olia – i serial killer nelle serie tv diventano figure quasi da ammirare. Qui invece i possibili mostri sono persone normali, piccole, che quasi ci fanno pena. E questo ci porta a guardare dentro il quotidiano: il mostro potrebbe essere davvero chiunque». Lo dice anche Cappelletti: «Non è un mostro solo. I mostri sono intorno a noi»

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