Femminicidio di Cinzia Pinna, l’imprenditore Emanuele Ragnedda si difende: «Avevamo litigato, lei voleva aggredirmi. Ho sparato per paura»


Sarebbe stato un istinto di autodifesa a far premere più volte il grilletto a Emanuele Ragnedda, noto imprenditore sardo di vino reo confesso dell’omicidio di Cinzia Pinna. È questa la versione che il 41enne avrebbe fornito agli inquirenti durante il lungo interrogatorio di ieri, mercoledì 24 settembre, durante il quale è crollato il muro di silenzio intorno alla sorte della 33enne scomparsa da Palau due settimane prima. Seguendo le indicazioni di Ragnedda, il cadavere di Pinna – in realtà non ancora riconosciuto – è stato ritrovato proprio in una tenuta dell’azienda dell’imprenditore.
La versione di Emanuele Ragnedda
Una lite violenta, per un motivo ancora non ben precisato. A quel punto, secondo il racconto del reo confesso, la donna avrebbe afferrato un oggetto e si sarebbe avvicinata all’uomo per percuoterlo. Solo a quel punto, preso dalla paura, l’uomo avrebbe premuto il grilletto della pistola «una o più volte». Ragnedda al momento è ancora in attesa di conoscere quando si terrà l’udienza per la convalida del fermo. L’accusa è di omicidio volontario e omicidio volontario aggravato dall’uso di arma comune da sparo e occultamento di cadavere.
Le ricerche e la confessione di Ragnedda
Le ricerche erano partite dall’unico indizio concreto, l’auto intestata a Ragnedda su cui la 33enne era salita al termine della serata. Le amiche della donna l’avevano descritta come visibilmente instabile, preoccupata e inquieta. Le telecamere di videosorveglianza avevano mostrato un intenso dialogo tra Pinna e l’autista della vettura di Ragnedda. Per trovare il corpo è però servita la confessione dell’uomo, che la sera dell’11 settembre sarebbe stato in compagnia di un 26enne milanese, indagato per occultamento di cadavere. L’imprenditore 41enne è stato fermato dai carabinieri mentre tentava la fuga su un’imbarcazione, poi durante l’interrogatorio è crollato.