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La vera sindrome da rientro? La ricaduta digitale. Perché tornano le dipendenze da schermo (e come combatterle)

28 Settembre 2025 - 06:59 Gemma Argento
dipendenza internet digitale
dipendenza internet digitale
Settembre non porta di nuovo solo compiti e riunioni, ma anche il ritorno a chat infinite, ore di call, gaming, utilizzi di app e piattaforme. Un mix che incide sempre di più sulla nostra salute tanto da spingere l’OMS a inserire le dipendenze digitali nella nuova lista ICD-1

Con la fine dell’estate, l’espressione “sindrome da rientro” torna puntuale a descrivere la fatica fisica e mentale di riallinearsi ai ritmi quotidiani dopo settimane di pausa e rallentamento dagli impegni. Ma se lo sguardo si allarga oltre la stanchezza e la malinconia per il tempo libero ormai lasciato alle spalle, emerge un’altra forma di vulnerabilità che segna sempre più il passaggio dalle vacanze alla vita ordinaria: la ricaduta digitale.

Le giornate trascorse all’aperto e una minore pressione a rimanere connessi agisce spesso come una parentesi in cui le abitudini online si allentano, si riducono le ore di gaming, cala lo scrolling compulsivo, per molti diminuisce l’urgenza di condividere ogni istante sui social. Con il ritorno a scuola e al lavoro, però, quel fragile equilibrio si rompe: le notifiche riprendono a scandire le giornate, lo smartphone torna a essere protesi costante, le ore notturne davanti agli schermi tornano spesso nelle routine di giovani e adulti.

Non solo un fenomeno sociologico ma scientifico e strettamente collegato alla nostra salute: nell’ultima revisione della classificazione internazionale delle malattie (ICD-11), l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scelto di dedicare uno spazio specifico alle dipendenze comportamentali: disturbi che non dipendono da una sostanza ma dal ripetersi compulsivo di un comportamento, capaci di compromettere salute e vita sociale. In questo quadro è stato inserito anche il gaming disorder, la prima dipendenza digitale formalmente riconosciuta a livello clinico, mentre la ricerca si concentra ora sempre di più sull’uso problematico dei social media. Segnali che gli esperti individuano anche nel rientro alla routine: non solo questione di orari e agende che ripartono ma anche di equilibri digitali che rischiano di danneggiare di nuovo salute fisica e mentale.   

Le dipendenze digitali nella classificazione internazionale delle malattie

L’ICD, ovvero la Classificazione internazionale delle malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è lo strumento che i sistemi sanitari di tutto il mondo usano per definire e codificare diagnosi, monitorare l’andamento delle patologie, uniformare la ricerca e l’assistenza. In altre parole, ciò che entra nell’ICD diventa parte del linguaggio clinico ufficiale: un riferimento che orienta linee guida, percorsi di cura, raccolta di dati epidemiologici e perfino decisioni di politica sanitaria.

Nella nuova versione dell’ICD-11 le dipendenze comportamentali trovano un riconoscimento che segna un cambio di prospettiva rispetto al passato. Non si parla più soltanto di gioco d’azzardo patologico, ma di una categoria più ampia che comprende i disturbi legati a comportamenti digitali.

Il gaming disorder è il caso emblematico: perdita di controllo, priorità crescente data al gioco rispetto ad altre attività quotidiane, persistenza del comportamento nonostante conseguenze negative. Criteri che devono manifestarsi per almeno dodici mesi, salvo quadri di gravità elevata, e che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso tra i disturbi da dipendenza comportamentale

Le dimensioni del fenomeno aiutano a capire il peso di questa decisione. In Italia, l’indagine HBSC 2022 coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità stima che quasi un ragazzo su cinque (19,6%) sia a rischio di gaming problematico, e che circa il 15% giochi almeno quattro ore al giorno. L’ Health Behaviour in School-aged Children – è un grande studio internazionale promosso dall’OMS Europa che dal 1982 monitora la salute e gli stili di vita degli adolescenti in oltre quaranta Paesi, attraverso questionari anonimi somministrati a ragazzi di 11, 13 e 15 anni. In Italia è l’ISS a condurre l’indagine, che rappresenta oggi la principale fotografia comparabile dei comportamenti giovanili nel nostro Paese. Secondo una revisione sistematica su oltre cinquanta studi, la prevalenza globale del gaming disorder si aggira intorno al 3%, con valori che salgono fino al 5% negli adolescenti a seconda degli strumenti diagnostici. Per l’uso problematico dei social media, al centro di un crescente interesse scientifico, i numeri sono altrettanto significativi: in Europa circa 1 ragazzo su 10 mostra indicatori di rischio, e in Italia i segnali di vulnerabilità compaiono già tra gli 11 e i 13 anni.

Le ragioni della ricaduta digitale 

Il rientro di settembre diventa così terreno fertile per la ricaduta digitale non solo per ragioni di abitudine, ma per un intreccio di meccanismi psicologici e ambientali. Lo stress legato a nuove scadenze scolastiche o lavorative aumenta il bisogno di distrazione e sollievo immediato, che i dispositivi digitali sanno offrire in modo rapido e costante. Allo stesso tempo, la riattivazione dei contesti quotidiani — dalle chat scolastiche e universitarie ai gruppi di lavoro su piattaforme online — riporta lo smartphone al centro della scena come strumento indispensabile. In questo scenario entrano in gioco anche le dinamiche di design delle applicazioni: notifiche push, scroll infinito, sistemi di ricompensa variabile che mantengono gli utenti agganciati e alimentano il rischio di uso compulsivo.

La letteratura scientifica conferma quanto queste condizioni incidano sul benessere. Uno studio della CDC del 2025 ha mostrato che gli adolescenti che trascorrono quattro o più ore al giorno davanti a schermi non scolastici riportano con maggiore frequenza sonno irregolare, scarsa attività fisica e sintomi di ansia e depressione. Come scrivono gli autori: «un tempo di schermo elevato è risultato associato a maggiori probabilità di durata breve del sonno, sensazione di riposo insufficiente e peggiori esiti di salute mentale tra gli adolescenti statunitensi». 

Allo stesso modo, un’analisi condotta su oltre 50.000 bambini e ragazzi ha rilevato che la riduzione del sonno e l’irregolarità degli orari serali sono tra i principali fattori che mediano il legame tra uso eccessivo degli schermi, ansia e sintomi comportamentali: «L’uso eccessivo degli schermi è risultato associato a problemi di salute mentale e ADHD, in parte mediato da una durata breve del sonno e da routine irregolari di addormentamento». A rendere settembre ancora più delicato intervengono anche le cosiddette cue ambientali: segnali che funzionano da innesco. Proprio come accade nelle dipendenze da sostanza, anche nelle dipendenze digitali la semplice esposizione a uno stimolo, una notifica, un messaggio, l’icona luminosa di un’app, può bastare per riattivare il comportamento compulsivo.

Il peso del multitasking

A questo si aggiunge il multitasking forzato che caratterizza il ritorno a scuola e al lavoro: la gestione contemporanea di compiti e richieste spinge a un uso ancora più intensivo degli schermi, che finiscono per amplificare invece che alleviare lo stress.

Il contrasto netto con i mesi estivi rappresenta un altro fattore di vulnerabilità. Se la pausa delle vacanze aveva offerto una sorta di protezione naturale, riducendo la pressione sociale e la necessità di essere costantemente connessi, il ritorno a settembre spezza bruscamente questo equilibrio. A livello neurobiologico, infine, le piattaforme digitali sfruttano meccanismi noti del sistema dopaminergico: il reward intermittente di notifiche e feed attiva i circuiti della ricompensa in modo simile a quanto avviene in altre dipendenze comportamentali, rafforzando la difficoltà a interrompere l’uso e rendendo la ricaduta ancora più probabile.

Gli effetti sulla salute

Le ricadute digitali non si fermano al piano comportamentale: hanno conseguenze documentate sulla salute fisica e mentale. L’eccesso di tempo trascorso online si lega innanzitutto al sonno. Ore notturne passate davanti a uno schermo riducono la durata e alterano la qualità del riposo, con effetti che si accumulano rapidamente su memoria, concentrazione e umore. A questo proposito, lo studio della CDC ha evidenziato come «gli adolescenti con un alto tempo di schermo presentano una probabilità significativamente maggiore di riportare sintomi di ansia e depressione in concomitanza con una scarsa qualità del sonno».  Ma non è solo il riposo a risentirne. L’uso intensivo dei dispositivi favorisce comportamenti sedentari che, a lungo termine, incidono anche sul benessere metabolico e sul peso corporeo. La vasta indagine condotta sugli oltre 50mila giovani di cui parlavamo sopra ha su questo rilevato che «la ridotta durata del sonno e l’irregolarità degli orari serali agiscono come mediatori fondamentali tra l’uso eccessivo degli schermi e la comparsa di sintomi comportamentali e ADHD». 

Gli effetti toccano anche la sfera cognitiva. L’alternanza continua tra stimoli rapidi e distrazioni digitali ostacola i processi di attenzione sostenuta e di memoria di lavoro, rendendo più difficile lo studio e la produttività. Nei più giovani, questo può tradursi in cali di rendimento scolastico; negli adulti, in difficoltà di concentrazione e maggiore affaticamento mentale. Una rassegna internazionale pubblicata nel 2024 sottolinea che «nelle dipendenze comportamentali si osserva un conflitto tra i circuiti cerebrali impulsivi, che spingono verso l’azione automatica, e quelli di controllo, che faticano a regolare il comportamento». In altre parole, ciò che a settembre sembra soltanto un ritorno a vecchie abitudini rischia di tradursi in un accumulo di fattori di rischio clinicamente rilevanti, capaci di incidere su sonno, corpo e salute mentale: proprio quei tre pilastri che, se compromessi, aprono la strada a difficoltà scolastiche, lavorative e relazionali.

Guardando oltre gli effetti immediati, entrano in gioco anche rischi di lungo periodo. Studi longitudinali, e cioè ricerche che seguono gli stessi soggetti nel tempo per analizzare come i comportamenti influenzino la salute, hanno evidenziato un legame bidirezionale tra uso problematico dei social e sintomi depressivi. Non solo quindi più schermo che precede la comparsa di depressione, ma anche la depressione stessa che porta a rifugiarsi online, creando un circolo vizioso. Come spiegano gli autori di una ricerca del 2024: «L’uso eccessivo di video brevi e social media predice in seguito peggiori sintomi depressivi, mentre il malessere emotivo induce un ulteriore ricorso agli schermi».

Precise strategie di prevenzione

Se la ricaduta digitale rappresenta un rischio concreto, la buona notizia è che la ricerca mette a disposizione strategie di prevenzione sempre più precise. La prima riguarda la gestione del tempo di schermo. Non basta dire “meno smartphone”: gli esperti parlano di fissare limiti orari chiari e regolari, soprattutto nelle ore serali. Le linee guida dell’American Academy of Pediatrics raccomandano che bambini e adolescenti abbiano almeno un’ora senza schermi prima di coricarsi, evitando l’uso di device in camera da letto. In uno studio pubblicato su Pediatrics, si legge che «la coerenza nella definizione di orari senza schermi, in particolare prima di coricarsi, contribuisce a migliorare il benessere psicosociale».  Un secondo pilastro è l’educazione digitale. Non significa solo insegnare a “stare meno online”, ma fornire competenze critiche per riconoscere i meccanismi delle piattaforme, distinguere tra uso sano e problematico, proteggere la propria salute mentale. Una revisione sistematica pubblicata su JMIR Mental Health ha rilevato che i programmi di digital literacy condotti nelle scuole riducono significativamente i sintomi di uso problematico dei social media e aumentano la consapevolezza degli effetti psicologici legati alla connessione continua.

La disconnessione programmata

Gli esperti sottolineano anche l’importanza dei periodi di disconnessione programmata. Non occorre immaginare “ritiri digitali” drastici: le ricerche mostrano che persino brevi pause, ad esempio due giorni senza social media, possono avere effetti misurabili su ansia e autostima. Uno studio controllato ha dimostrato che «prendere una pausa di una settimana dai social media migliora in modo significativo benessere, sintomi depressivi e ansia».  Allo stesso modo, una meta-analisi del 2024 ha concluso che le cosiddette “digital detox interventions” hanno un effetto positivo sul benessere psicologico e sulla regolazione emotiva. 

Foto in evidenza di Fethi Benattallah su Unsplash

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