«Il centrosinistra è incapace di attrarre voti dalla destra, si limita a mobilitare i propri elettori»: l’analisi sulle elezioni nelle Marche


Cinque anni dopo, stesso esito. Il meloniano Francesco Acquaroli, sostenuto da una coalizione di centrodestra, torna a vincere le elezioni con il 52,4% dei voti e governerà ancora le Marche. Matteo Ricci, l’avversario del campo progressista non decolla e ferma il centrosinistra al 44,4%. Archiviato il voto, è tempo di fare i conti con la sconfitta – o con la vittoria, a seconda di dove la si guardi – e interrogarsi sulle sue cause. Secondo i dati elaborati da Opinio per la Rai, che ha analizzato i flussi di voto confrontandoli con le elezioni regionali del 2020, l’89% degli elettori che avevano votato per Acquaroli cinque anni fa ha riconfermato la sua scelta. Situazione analoga per il centrosinistra: il 95% di chi aveva votato Maurizio Mangialardi ha scelto Matteo Ricci. Tradotto: l’ex sindaco di Pesaro ed europarlamentare (che ha convinto più della coalizione che lo sosteneva) ha riportato a casa tutti i voti del candidato di centrosinistra nel 2020. Per quanto riguarda il voto degli elettori del Movimento 5 Stelle, che cinque anni fa avevano un proprio candidato (Mercorelli), l’83% di chi aveva scelto il pentastellato ha ora optato per il candidato del campo largo (il 13% per Acquaroli).
«Ricci non ha mobilitato gli astenuti e convinto chi nel 2020 aveva votato per il centrodestra»
Il punto cruciale è un altro: come si vincono le elezioni? Se sei l’«incumbent», cioè il candidato in carica che cerca il bis (Acquaroli), l’obiettivo è piuttosto semplice: far tornare alle urne chi ti ha già sostenuto cinque anni fa. Ma se non sei l’uscente, la sfida è ben più complessa. Bisogna riuscire a mobilitare anche gli astenuti e convincere chi nel 2020 aveva votato per l’altro fronte. Come spiega Livio Gigliuto, presidente di Opinio, «Ricci non è riuscito a intercettare nessuno dei due flussi potenziali». Ad esempio, ha cercato di attirare l’attenzione degli astenuti sollevando la questione del riconoscimento dello stato palestinese, ma questo approccio non ha avuto l’effetto sperato: «Non è riuscito a convincere la gente a scendere in piazza per votare per lui».
La strategia pro-Palestina, come osserva Giovanni Diamanti su la Repubblica, non si è trasformata in un vero e proprio motore di consenso. Sebbene possa motivare alcune categorie di elettori, ha anche rischiato di allontanare chi cercava una proposta più pragmatica. Ma non è tutto: «Ricci non è riuscito nemmeno a intercettare il flusso di consensi che doveva passare da Acquaroli a lui», prosegue Gigliuto. Il risultato finale, infatti, è praticamente lo stesso di cinque anni fa. E anche se l’ex sindaco di Pesaro ha ottenuto una fetta maggiore di astensione rispetto al candidato meloniano, la differenza non è poi così significativa, dato che non c’è stato un vero e proprio recupero dell’astensione. L’affluenza alle urne, infatti, è stata del 50,01%, in calo rispetto al 59,74% del 2020, un anno in cui però in diversi comuni marchigiani si votava anche per le elezioni comunali, oltre che per il referendum costituzionale.
Il flop del campo largo e il ruolo del M5s
Ciò apre al tema del campo largo, che potrebbe ripresentarsi nelle altre cinque regioni chiamate al voto da qui fino a novembre. «Uno dei problemi riguarda anche la struttura della coalizione di centrosinistra», spiega Gigliuto. «Non c’è uno strumento capace di attrarre voti dalla destra. Alcuni pensano che potrebbe essere un partito centrista o una leadership che sappia parlare anche all’elettorato avversario. Il sospetto è che manchi qualcosa in grado di conquistare anche chi sta dall’altra parte». E per quanto riguarda gli alleati pentastellati? «Rispetto alle regionali del 2020, emerge un aspetto interessante: cinque anni fa, il 5 Stelle aveva un proprio candidato e ottenne l’8,5%. Ora, senza un candidato proprio, il risultato è sceso al 5%. Sono solo tre punti in meno, ma in una coalizione è un tema rilevante», afferma.
E questo è uno dei paradossi del movimento guidato da Giuseppe Conte. «Lo prendi in coalizione perché ha una buona fetta di voti, ma quando lo inserisci, una parte di quei voti tende a perdersi, senza garanzie che vengano recuperati dal centrosinistra – continua il sondaggista – Questo elettorato non vede la sfida con il centrodestra come centrale, e non si motiva semplicemente con l’idea di stare uniti contro di esso. Per una parte consistente di chi vota 5 Stelle, centrodestra e centrosinistra sono comunque due realtà distanti dalla loro». In sintesi, la spallata non c’è stata. Anzi, è stato proprio il “campo largo” a subire un colpo inaspettato, con Fratelli d’Italia che ha consolidato la propria posizione come primo partito del centrodestra nelle Marche, sorpassando la Lega, che nel 2020 era al comando. E il Pd fatica a tenere il passo.
Foto copertina: ANSA / ANSA/FRANCESCO MAZZANTI | Matteo Ricci, eurodeputato del Pd e candidato del centrosinistra alla presidenza delle Marche, nella sede elettorale ad Ancona, 29 settembre 2025