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Il lato positivo del raffreddore: dimezza il rischio di Covid ad un mese di distanza (e protegge i bambini) – Lo studio

05 Ottobre 2025 - 06:30 Gemma Argento
raffreddore naso cure vaccini
raffreddore naso cure vaccini
Non solo fastidio stagionale: il raffreddore potrebbe lasciare in eredità difese antivirali ancora attive contro altri virus. La ricerca americana appena pubblicata e gli scenari di cura che si aprono

Con l’arrivo dell’autunno prende avvio anche la nuova stagione dei virus respiratori: gli infettivologi stimano per la stagione 2025-2026 in Italia fino a 16 milioni di casi di malattie influenzali. Nel frattempo, anche le infezioni da SARS-CoV-2 non sono sparite: solo nella settimana dal 18 al 24 settembre 2025 sono stati registrati 4.256 nuovi casi (in aumento rispetto alla settimana precedente, con 3.692 casi). Non sorprende quindi che in ambulatori e studi medici una quota consistente di pazienti con sintomi da “raffreddore” finisca per scoprire di essere positiva al Coronavirus. In questo scenario entra in gioco un attore insospettabile: secondo un nuovo studio internazionale il raffreddore, spesso liquidato come fastidio passeggero, potrebbe contribuire, almeno per un certo tempo, a rendere meno probabile o meno intensa un’infezione da Covid.

Uno studio su oltre diecimila tamponi: il raffreddore capace di dimezzare il rischio di Covid

Lo studio, pubblicato sul Journal of Infectious Diseases, ha preso in esame oltre 10.000 tamponi nasali raccolti nell’ambito del progetto HEROS che monitora la diffusione dei virus respiratori all’interno delle famiglie. Dall’analisi è emerso che chi aveva contratto un’infezione da rhinovirus — il principale responsabile dei comuni raffreddori — nelle quattro settimane precedenti presentava un rischio di Covid ridotto di circa la metà. Nei casi in cui l’infezione da SARS-CoV-2 si verificava comunque, il carico virale risultava in media quasi dieci volte inferiore.

A spiegare questo effetto sarebbe il ruolo delle difese immunitarie locali: come scrivono gli autori, «l’infezione da rhinovirus induce l’attivazione di numerosi geni antivirali nelle vie respiratorie, che restano attivi per diversi giorni» e «questa risposta precoce può limitare la capacità del SARS-CoV-2 di attecchire e replicarsi». I ricercatori sottolineano inoltre che nei bambini questi geni risultano spesso espressi a livelli più alti già in condizioni di base, un dato che «potrebbe contribuire a spiegare perché l’infezione da Covid tende a manifestarsi in forma meno grave nei più piccoli».

Perché un virus può ostacolare un altro: la firma molecolare del raffreddore

Per andare oltre i numeri, gli autori hanno analizzato in profondità un sottoinsieme di campioni attraverso il sequenziamento dell’RNA, una tecnica che permette di fotografare quali geni sono attivi in un determinato momento all’interno delle cellule. In pratica, invece di guardare solo alla presenza del virus, i ricercatori hanno osservato la risposta del tessuto nasale, mappando le “istruzioni” che le cellule stavano eseguendo per difendersi. Gli autori dello studio hanno scoperto, così, che l’infezione da rhinovirus lasciava una vera e propria “firma molecolare”: decine di geni legati alla risposta antivirale risultavano accesi, e alcuni restavano attivi per giorni. «Abbiamo osservato l’induzione di almeno 57 geni — spiegano gli autori — e più di venti erano direttamente coinvolti nella difesa contro altri virus». Tra questi, spiccano quelli che regolano la produzione di interferoni, proteine chiave della risposta innata, che possono rendere l’ambiente delle mucose respiratorie meno ospitale per un nuovo patogeno.

È il principio dell’“interferenza virale eterologa”: la presenza di un virus stimola le difese al punto da impedire a un secondo di insediarsi con facilità. Nel caso specifico, il raffreddore agirebbe come una sorta di allenatore invisibile, in grado di lasciare dietro di sé una barriera di geni antivirali pronti a reagire a un incontro con il SARS-CoV-2.

Il vantaggio dei più piccoli

Un aspetto particolarmente interessante emerso dallo studio riguarda l’età dei partecipanti. Nei bambini, infatti, i ricercatori hanno rilevato livelli basali più alti di geni antivirali già in condizioni di normalità, senza bisogno di un’infezione recente a “risvegliarli”. I più piccoli hanno mostrato una maggiore esposizione al rhinovirus con circa 2,2 volte in più di probabilità di contrarre un raffreddore rispetto agli adulti.

Questo significa che le vie respiratorie dei più piccoli sono, per così dire, più allenate a reagire prontamente a nuovi virus. Non a caso, spiegano gli autori, «i bambini mostrano una maggiore frequenza di infezioni da rhinovirus e questo potrebbe contribuire a mantenere il loro sistema immunitario innato in uno stato di costante allerta». Una possibile chiave di lettura che si aggiunge ad altre ipotesi già note e che aiuta a spiegare perché, durante la pandemia, il Covid abbia colpito con forme gravi soprattutto gli adulti e gli anziani, risparmiando in larga parte i più giovani.

Dal raffreddore ai vaccini nasali: le prospettive della ricerca

Proprio questa distinzione apre a riflessioni più ampie: capire come funzionano le difese innate delle mucose potrebbe offrire spunti per nuove strategie di prevenzione. Negli ultimi anni diversi gruppi di ricerca hanno iniziato a studiare vaccini o spray nasali capaci di stimolare localmente la produzione di interferoni e altre proteine antivirali, con l’obiettivo di “rafforzare” la prima linea di difesa dell’organismo contro un ventaglio di virus respiratori. L’idea è che riprodurre artificialmente quell’“allerta immunitaria” osservata dopo un raffreddore possa trasformarsi in un’arma aggiuntiva accanto ai vaccini tradizionali. Non a caso, gli autori dello studio sottolineano che «approfondire i meccanismi di interferenza virale potrebbe rivelarsi utile non solo per il Covid, ma anche per le future pandemie respiratorie».

Foto in evidenza di Brittany Colette su Unsplash

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