Garlasco, l’addio di Gerry la Rana: perché Massimo Lovati ha dovuto lasciare la difesa di Andrea Sempio


Andrea Sempio ha revocato il mandato all’avvocato Massimo Lovati. Ovvero Gerry La Rana, come lo ha soprannominato Fabrizio Corona sulla scorta di un fantomatico cartone animato. L’accusato in concorso dell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco non lo ha fatto quando il legale lo ha definito «un comunista, un disadattato». O quando Lovati ha parlato dei suoi sogni e dei suoi incubi riguardo il delitto di via Pascoli. Comprese le frasi sulla massoneria. A chi gli chiede perché Sempio l’ha mollato, dice «penso per Corona».
Gerry La Rana
Eppure ricorda La Stampa, Lovati si è difeso: «L’intervistatore era diventato un asino in quel momento e io ho dato ragione a un asino». Ha parlato anche del giudice che ha voluto riaprire l’indagine, «che era legato all’Opus Dei, maledetto». E ancora: «Io ero Gerry la rana, non ero l’avvocato Lovati». Perché quella «era solo una sceneggiatura», dice a un inviato Rai. «A teatro l’attore dice quello che gli viene mostrato dal copione. Io ho sempre avuto la passione per il teatro». Poi da Giletti ribadisce il concetto: «Il senso della fiction è quello di mischiare fantasia e realtà. Quindi a volte dico cose sensate e altre volte fesserie». L’autore di Falsissimo lo ha smentito: «Dice che faceva un provino? Ma lui ha questo modo di provocare, è un uomo intelligente, anziano, sgamato, ma anche truffaldino. Si prende gioco della televisione, gode del suo egocentrismo. Non è vero che gli ho detto ti propongo un film».
I Sempio hanno un cervello da capra
Eppure Lovati ha detto anche che i Sempio hanno un cervello da capra. «È una mia strategia. È il mio modo di difendere i miei clienti». C’era una strategia: «Gli ho spiegato che il mio personaggio è la sua miglior difesa». È così che ha visto l’assassino. «Non è stato Stasi. E ancor meno Sempio. Gli assassini sono gli stessi che Alberto Stasi ha coperto sotto la minaccia di morte». Eppure pochi giorni fa era sicurissimo: «Non me ne vado». Anche perché «so vita, morte e miracoli. Sono depositario di tante verità». Ma ieri si è detto dispiaciuto: «Il mio errore è il mio modo di pormi con la giustizia, con i media, con i clienti, con i miei colleghi e con i magistrati».
L’interrogatorio di Lovati
La conclusione è ovvia: «Andrea mi ha detto che “non è per Corona o per quello che hai detto”, ma per le linee difensive “che non mi piacciono più, che voglio mutare, non vado più d’accordo con la tua strategia”», ha spiegato Lovati. «La considero una macchia nella mia carriera». Ora non è escluso che Lovati possa essere sentito da investigatori e inquirenti bresciani proprio sulla presunta corruzione a Venditti. Ma lui non ci sta: «Non c’è corruttore, ma che indagine è? Per cosa devo testimoniare? Anche qualora fossero indagati il papà, la mamma o Andrea secondo me potrei trincerarmi dietro il segreto d’ufficio».