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Netanyahu torna in cima ai sondaggi dopo il cessate il fuoco a Gaza. Chi è l’ex alleato che può soffiargli la guida di Israele

17 Ottobre 2025 - 13:28 Simone Disegni
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Effetto Trump dopo l'intesa: il Likud si rafforza, bene anche il falco Ben-Gvir. Ma né le destre né il blocco anti-Bibi oggi avrebbero una chiara maggioranza

«Non è certo un tipo facile, ma in fondo è proprio questo che lo rende un grande». Arrivato in Israele per celebrare il successo dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza, Donald Trump ha reso ben più dell’onore delle armi a Benjamin Netanyahu: ne ha tessuto pubbliche lodi, pur senza rinunciare a pizzicarlo. Il premier israeliano, di fronte a lui alla Knesset, ha reagito con un sorriso largo così, mentre il leader Usa chiamava l’applauso per lui. Pochi giorni dopo appare chiarissimo il perché. Quell’endorsement fatto dall’architetto dell’accordo nel giorno che per gli israeliani ha significato la fine di due anni di incubo – il ritorno a casa di tutti gli ostaggi vivi, quindi quello delle decine di migliaia di riservisti chiamati al fronte – sembra aver già avuto il suo effetto. Per la prima volta dal 7 ottobre di due anni fa, quando Hamas fece strage nel sud di Israele lasciato sguarnito dall’esercito, Netanyahu torna ad essere il candidato numero 1 alla successione di se stesso. Il suo Likud, secondo i primi sondaggi realizzati dopo il cessate il fuoco e le cerimonie trionfali con Trump in Israele e a Sharm el-Sheikh, sarebbe di nuovo chiaramente il primo partito del Paese. Se si votasse domani, sarebbe accreditato di 27 seggi secondo la rilevazione condotta dall’istituto Midgam per Canale 12. Meno di quelli su cui può contare nell’attuale Parlamento, certo (32 sui 120 complessivi) ma in netta crescita (un mese fa la stessa proiezione ne accreditava 24). Altri istituti demoscopici considerati più vicini alle destre israeliane dissentono da Migdam, nel senso che sentono il termometro ancora – e di molto – più pro-Netanyahu: il suo Likud avrebbe addirittura 34 o 35 seggi secondo rilevazioni (contestate) condotte da Yossi Taktika e Shlomo Filber rispettivamente.

La crisi di Smotrich, il balzo di Ben-Gvir

Strada in discesa per Netanyahu per restare in sella anche dopo le prossime elezioni, previste – a meno di scioglimento anticipato del Parlamento – a ottobre 2026, dunque? Tra il dire e il fare sta di mezzo il mare. Perché chi naviga in cattive acque sono invece i suoi alleati di ultra-destra. Il Partito sionista religioso di Bezalel Smotrich, in particolare, non passerebbe neppure la soglia di sbarramento del 3,25% e dunque resterebbe secondo tutti i sondaggi fuori dal Parlamento. Lasciando un vuoto incolmabile per la coalizione di destra-destra oggi al governo. Sempre secondo il sondaggio di Canale 12, l’altro fomentatore anti-arabo di Israele, Itamar Ben-Gvir, porterebbe a casa ben 8 seggi – un balzo notevole considerato che nel 2022 entrò in Parlamento per il rotto della cuffia solo alleandosi con Smotrich. I due partiti che rappresentano gli elettori ultraortodossi infine – Shas e Torà Unita – avrebbero rispettivamente 9 e 7 seggi. Totale per la coalizione attualmente al governo: 51 seggi. Ben 9 in meno di quelli necessari ad avere la maggioranza (i sondaggi cari alla destra, rilanciati dallo “scatenato” Canale 14, parlano invece di una maggioranza che si riconfermerebbe con 66 seggi).

Il ritorno di Bennett e l’alternativa (im)possibile

Sul fronte opposto – quello assai variegato che si oppone a Benjamin Netanyahu – molte cose sono in movimento, ma al momento resta tutta da verificare la possibilità di una maggioranza alternativa. La variabile più attesa e che potrebbe smuovere le acque è il ritorno in campo di Naftali Bennett. L’ex alleato di Netanyahu, diventato poi suo rivale nel campo del centrodestra e premier per un breve periodo in un governo di “larghe intese” (2021-22), scalda da tempo i motori per il rientro e secondo tutti i sondaggi se così sarà tornerà prepotentemente al centro dei giochi. Canale 12 accredita la sua potenziale lista di ben 22 seggi, e perfino i sondaggisti filo-Netanyahu riconoscono che sarà lui il contendente più ostico. Potrebb’essere proprio Bennett, che viene da un percorso politico chiaramente di destra, a porsi alla guida del frastagliato fronte anti-Netanyahu? Resta da vedere. Ma in ogni caso anche qui la maggioranza sarebbe tutta da costruire. Perché la “stella” dell’ex capo di Stato maggiore dell’esercito Benny Gantz pare tramontata, tanto che la sua lista “Blu e Bianco” resterebbe fuori dal Parlamento. Ci entrerebbero invece quelle di Yair Lapid (Yesh Atid – 9 seggi), dell’altro ex capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot (Yashar – 8 seggi), la sinistra guidata da Yair Golan (Democratici – 11 seggi) e l’altro ex alleato diventato rivale di Netanyahu nel centrodestra Avigdor Liberman (Israel Beitenu – 9 seggi). Totale, ammesso e non concesso che tale fronte prenda forma: 59 seggi. Ossia uno in meno del minimo utile ad avere una maggioranza.

Le alleanze “contro-natura” e il fattore Trump

L’unica, in quel caso, per ambire a formare un governo sarebbe appoggiarsi sul sostegno della lista araba/di sinistra Hadash e/o del partito arabo/islamista Ra’am. Strada scoscesa, anche perché esporrebbe facilmente la coalizione all’assalto mediatico delle destre, con un Netanyahu che avrebbe gioco facile ad accusare i contendenti di essere pronti a mercanteggiamenti ed alleanze “contro-natura” pur di cacciarlo fuori dal governo. Scenari alternativi? Quello, ovviamente, di un governo di “larghe intese” che passasse magari tramite una riappacificazione tra Netanyahu e Bennett. Trump, forse, ci metterebbe la firma. Ma in un Paese spaccato sulla figura di “Bibi” come Israele la fattibilità resta quanto mai da verificare. Di qui a un anno, d’altronde, quando si dovrebbe tornare alle urne, può ancora succedere di tutto, dentro e fuori Israele, e ciò che accadrà nella regione peserà fortemente sulle evoluzioni.

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