Ultime notizie Delitto di GarlascoJannik SinnerLegge di bilancioSigfrido Ranucci
Angelina MangoMusicaSuoni e Visioni

Brava Angelina, capolavoro di De Simone, che noia Irama. Male anche Gabry Ponte e Moise Kean prestato alla musica. Le recensioni

19 Ottobre 2025 - 14:51 Gabriele Fazio

Angelina Mango – Caramé

Caramé, lo sospettiamo e ci speriamo vivamente, indica la direzione che Angelina Mango vuole intraprendere come artista. Non può essere infatti una scelta casuale quella di firmare la produzione di tutto l’album, come a voler dire che questo lavoro doveva avere questa determinata forma e nessun’altra, magari imposta da autori di grido, producer ipercool e featuring moltiplicatori di streaming. Dischi pop che escono all’ombra di questi tre elementi ne ascoltiamo tutte le settimane, questo no. Questo album è molto personale, Angelina Mango toglie il velo che copre la sua essenza di artista, liberandosi finalmente da ogni etichetta, quella di vincitrice di Amici (si, vabbè, sezione canto, ci siamo capiti), da vincitrice di Sanremo, da popstar osannata dai minorenni, dimostrando un talento che, ora che ci troviamo dinanzi ad un’opera di tale spessore, lunga, corposa, carica di svariati significati, possiamo definire limpido. Ma andando al sodo: Caramé è ricco di ottime canzoni, anzi, diremmo che di sbagliate non ce ne sono proprio. Dal mezzo country uptempo de Le scarpe slacciate allo splendido e delicatissimo duetto con Madame. Dalla profonda intimità de La vita va presa a morsi al magnifico esercizio di stile in Come un bambino. A noi Nina canta, così nuda e cruda, c’ha quasi commosso, così come Aiaiai, in cui invece la nostra si incontra con Dardust e Calcutta. In generale ci ha proprio convinti questo senso di liberazione che aleggia su ogni brano e che viene declinato con una serie di sonorità diverse, domate dallo stesso tocco stilistico. Caramé tra l’altro dimostra anche, e sarebbe ora di capirlo, che si può fare dell’ottimo pop, commerciale, vendibile, moderno, anche senza rifugiarsi con la coda tra le gambe nel solito ambito, con la solita formuletta Simonetta/Antonacci/Abbate (e, sia chiaro, niente abbiamo da recriminare a quelli che sono ottimi mestieranti), senza ricalcare furiosamente ciò che va in classifica, senza scimmiottare ammmericans popstars. Con serietà, carattere, professionalità, anima. Senza fare un bell’inchino al meschino e devastante meccanismo del nuovo fluido mercato discografico, quello per cui un disco lo devi spalmare in anni di singoli e featuring sparpagliati qui e là. Prendendosi, ancora ventenne, un anno di pausa per ritrovare se stessa, per affrontare i propri demoni, per capire esattamente cosa stesse succedendo nella sua vita dopo 17 mesi (tanti ne sono passati dalla vittoria ad Amici all’annullamento di metà del tour dell’ottobre dell’anno scorso) di stressantissime giravolte mediatiche. Troviamo molto bello che alla fine ne sia rimasto questo album dalle sonorità vivide e contemporanee, scritto molto bene, riuscendo a illuminare vari angoli, anche oscuri, della sua vita con una poetica pop efficacissima, prendendosi addirittura il lusso di incidere brani che vibrano di una esplicita artigianalità. La vittoria al Festival di Sanremo del ’24 è arrivata quando Angelina Mango non aveva ancora pubblicato il suo primo album, solo nove brani presenti sulle piattaforme, quando ancora insomma in pratica non era nemmeno un’artista fatta e finita, e poteva apparire come un vacuo fuoco d’artificio che illumina il cielo della musica italiana per un attimo e poi svanisce nella nostra memoria collettiva come un Marco Carta qualunque. Questo disco, e siamo fortunati, ci dimostra che no: Angelina Mango è artista vera.