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«Così aiutiamo gli uomini violenti con le donne a capirsi e a cambiare»

23 Ottobre 2025 - 09:06 Alba Romano
sefano ciccone maschile plurale uomini violenza donne
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Stefano Ciccone, presidente di "Maschile plurale", spiega il lavoro della sua associazione con gli uomini in codice rosso

Stefano Ciccone, presidente di “Maschile plurale”, ospite oggi a Torino del festival Women & the City, dice che «gli uomini che hanno commesso atti di violenza non sono maniaci o pazzi. Sono portatori di una cultura condivisa che interpreta in maniera esacerbata ed estrema un’idea sbagliata. Quella dell’uomo che deve controllarsi. Del maschio che deve dominare le proprie emozioni. A cui è consentita solo la rabbia. Ma le emozioni non sono solo delle femmine. Sono di tutti. Anche di questi uomini, che non le sanno riconoscere. Perché sono stati cresciuti senza la capacità di sentirsi. Sono uomini a cui hanno insegnato che un maschio non può piangere».

Come pentole a pressione

Ciccone parla in un’intervista a La Stampa. Nella quale spiega come la sua associazione aiuta gli uomini imputati di reati da Codice rosso: «Lavoriamo in gruppi. Davanti a noi ci sono uomini normali. Autori di violenze di vario tipo. Hanno 18 o 70 anni. Partiamo con un’operazione di decostruzione. Smontiamo l’idea sbagliata dell’uomo che deve dominare le proprie emozioni. Perché questo è uno degli stereotipi che rilancia la cultura della violenza». Dire loro di controllare la rabbia non è la cosa corretta da fare «Gli uomini autori di violenza devono prima di tutto comprendersi. Di solito sono simili. Si sentono tutti vittime, quindi giustificati a fare del male. Sono isolati. Perché anche se vanno a giocare a calcetto, con gli amici non parlano di come si sentono davvero. E infine, sono cresciuti con un’idea dannosa: che le emozioni sono da femmina. Sono pentole a pressione pronte ad esplodere».

Le sedute di gruppo

Nelle sedute di gruppo, spiega Ciccone, «lavoriamo dal primo momento sulle emozioni. Spieghiamo che non serve che siano socialmente legittimate. Che non sono dominio di un genere. Che un uomo può riconoscere di essere angosciato o triste. E che questo va bene. Che è sbagliato che sia stato insegnato loro a esprimere solo la rabbia». Gli uomini violenti «si sentono legittimati a manifestare solo questa emozione perché non conoscono le altre. Hanno subìto il giudizio sociale di cui tutti siamo colpevoli. Sono maschi che se da piccoli piangevano, veniva detto loro: non fare la femminuccia. Uomini obbligati a crescere con l’idea del controllo».

Il rifiuto

In questa ottica per loro il rifiuto «diventa inammissibile e inconcepibile se a un uomo è stato insegnato che l’amore è fatto così: c’è lui, maschio, motore della relazione. Lui chiama e lei risponde al desiderio. Lei non sceglie, non decide. Il rifiuto della donna mette il maschio violento di fronte a una sua vulnerabilità che non aveva probabilmente mai messo in conto. Cade la visione del “io basto a me stesso” e si rompe l’immagine che la donna sia lì per lui. A quel punto l’uomo crolla».

La cultura patriarcale

E questo perché «la cultura patriarcale in cui viviamo prevede solo due immagini di donne. La madre, che sacrifica se stessa per i bisogni altrui, ed è per questo che colpevolizziamo le madri che lavorano o che hanno una vita sessuale. La seconda immagine è quella della donna erotizzata. La escort, la donna della pubblicità che si trucca, questo pensa il maschio violento, perché la sua missione è piacere a me. Quando cade questa seconda immagine, perché l’uomo viene rifiutato, crolla tutto».

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