Chiama e manda messaggi all’ex per due settimane: condannato per molestie. La conferma della Cassazione sul caso di Vibo Valentia

Non sono necessari insulti o minacce, per essere ritenuti colpevoli di molestie bastano continui messaggi e telefonate sgradite. A stabilirlo è la Corte di Cassazione che ha confermato la condanna inflitta dal tribunale di Vibo Valentia a un uomo che per circa due settimane, dal 13 al 31 dicembre 2022, ha contattato ripetutamente la sua ex per convincerla a dargli un’altra possibilità. Nei messaggi dell’uomo, che la persona offesa aveva allegato alla querela, non sono stati individuati contenuti offensivi o intimidatori, ma il suo comportamento «pressante» e «indiscreto» ha costituito, a parere dei giudici, una «intromissione inopportuna nella altrui sfera di libertà».
La sentenza della Cassazione
La difesa si è concentrata sul fatto che il tentativo dell’uomo di riallacciare i rapporti fosse durato “solo” due settimane e che la vittima non avesse mai bloccato il numero dell’imputato. Inoltre, mancava la prova di un effettivo danno psichico. La Corte tuttavia ha respinto queste argomentazioni, sostenendo che la molestia può essere riconosciuta anche in assenza di effetti duraturi, che si realizza non appena viene avvertita e che sia particolarmente invasiva quando usata con il mezzo del telefono. Pertanto, il ricorso dell’imputato è stato giudicato inammissibile.
La differenza tra molestia e stalking
La Cassazione ha ricondotto il comportamento dell’uomo al reato di molestia, stabilito dall’art. 660 del codice penale. Questo delitto non è da confondersi con lo stalking (art. 612 bis), che prevede minacce e molestie tali «da ingenerare un fondato timore per l’incolumità» o da costringere la vittima «ad alterare le proprie abitudini di vita».
