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Sudan, la strage di Al Fashir e la richiesta di indagare per genocidio. Le voci dei sopravvissuti: «Mangiavamo solo cibo per animali. Ora le strade sono piene di cadaveri»

31 Ottobre 2025 - 17:51 Alessandra Mancini
tawila-sudan
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Migliaia di civili sono arrivati al campo profughi di Tawila dopo essere sfuggiti alle atrocità delle Rsf, ma per le Ong si tratta di un numero ancora molto limitato: «Temiamo che molti siano stati uccisi durante la fuga», spiegano a Open

«La situazione ad Al Fashir è drammatica: numerosi cadaveri giacciono per le strade e nessuno può occuparsene, perché le famiglie non hanno la forza né i mezzi per farlo. Siamo grati di essere riusciti a scappare, anche se non abbiamo nient’altro che i vestiti che indossiamo». Ismail (nome di fantasia) è uno dei tanti civili che sono riusciti a mettersi in salvo dopo essere fuggiti dalle atrocità commesse dalle Forze di supporto rapido (Rsf) ad Al Fashir, la capitale del Darfur settentrionale passata domenica dal controllo delle forze armate a quello dei paramilitari, in guerra da aprile 2023. «Siamo esausti. Gli ultimi giorni sono stati un incubo: per sopravvivere abbiamo mangiato solo ambaz (destinato agli animali, ndr) che macinavamo e cucinavamo come un porridge», racconta Amal (altro nome di fantasia), giovane donna di 28 anni.

Lei e i suoi figli sono riusciti a scappare e a raggiungere il campo profughi di Tawila, a circa 80 chilometri di distanza, dove secondo le Nazioni Unite vivono oltre 650 mila sfollati. «Il viaggio è durato nove giorni – spiega – abbiamo portato i nostri bambini in braccio per tutto il tragitto. Quando siamo arrivati, i nostri mariti non c’erano. Non sappiamo se siano vivi o morti. Speravamo solo di trovarli qui. Ora siamo al sicuro, ma i nostri cuori non trovano pace». Anche Ahmed (un altro nome di fantasia), 57 anni, racconta l’orrore vissuto. «Ho assistito all’esecuzione di 99 persone e dovevo essere il centesimo. Per misericordia di Dio, sono sopravvissuto. Siamo fuggiti a piedi nudi, dopo che ci avevano portato via vestiti, denaro e scarpe. Io sono stato ferito a una gamba».

A Tawila pochi arrivi: «Temiamo molti civili siano stati arrestati o uccisi»

NORWEGIAN REFUGEE COUNCIL a OPEN | Sudanesi fuggiti da Al-Fashir e arrivati a Tawila

Ismail e Ahmed sono riusciti a raggiungere Tawila. Tuttavia, diversi esperti hanno espresso preoccupazione per il numero relativamente ridotto di civili che riescono ad arrivare fino alla località nel Nord del Darfur. Gli operatori del Norwegian Refugee Council (Nrc), l’organizzazione non governativa che si occupa di tutelare i diritti degli sfollati, contattati da Open e che ci hanno aiutato a raccogliere le testimonianze, riferiscono che «solo poco più di 5mila persone sono riuscite a raggiungere Tawila. «Temiamo – spiegano – che molte di loro siano state arrestate, fatte sparire o uccise mentre cercavano di mettersi in salvo». E chi riesce a sopravvivere al viaggio arriva esausto, affamato, ferito e profondamente traumatizzato.

«Un gruppo di 200 uomini, donne e bambini è partito insieme e solo 40 civili sono arrivati. Ci sono molti corpi lungo le strade, e i sudanesi dentro e intorno ad Al Fashir dicono che l’odore dei morti è ovunque», spiega un operatore locale. «Assistiamo, ma spesso ci sentiamo troppo impotenti per reagire – continua un altro cooperante che lavora con la ong Nrc -. Abbiamo perso molti parenti, portiamo il nostro stesso dolore, e a volte evitiamo quello degli altri, temendo che, se lo affrontassimo davvero, potremmo crollare. Eppure siamo noi quelli che devono restare forti per loro».

La denuncia di Msf: «Il 100% dei bambini arrivati a Tawila risulta malnutrito»

Medici senza Frontiere (Msf) ha allestito un presidio sanitario all’ingresso di Tawila. «Stiamo sottoponendo a screening tutti i bambini sotto i cinque anni per valutare lo stato di malnutrizione: ieri il 100% di loro risultava malnutrito, in forma grave o moderata», racconta Giulia Chiopris, pediatra italiana di Msf. «Abbiamo curato soprattutto adulti con ferite da proiettile e lesioni causate dai bombardamenti. Le persone – prosegue – ci raccontano di essere sopravvissute a torture, di essere state colpite da armi da fuoco durante la fuga e, una volta ad Al Fashir, di aver dovuto nutrirsi di mangime per animali o compost. Arrivano in ospedale esausti e in condizioni di salute molto compromesse», conclude Chiopris.


MSF | L’ospedale di Msf a Tawila

Il Consiglio Onu «indaghi su genocidio ad Al Fashir»

Le immagini delle esecuzioni – che secondo l’Onu sarebbero state compiute «su base etnica» – sono poche, ma quelle che riescono a trapelare mostrano in modo sconvolgente la brutalità del conflitto. Il rappresentante permanente del Sudan presso le Nazioni Unite, Al-Harith Idriss al-Harith Mohamed, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di aprire un’indagine sul genocidio. Anche le organizzazioni non governative invocano un’inchiesta internazionale per accertare le responsabilità di quello che definiscono «un genocidio che sta trascinando nel baratro milioni di persone». Una storia che si ripete: tra il 2003 e il 2009, infatti, la regione era già stata teatro di massacri, pulizia etnica e genocidio sotto il regime di Omar al-Bashir.

Negli ultimi due anni, la strategia delle Forze di supporto rapido si è ormai consolidata: circondare le aree bersaglio per mesi, tagliare ai civili l’accesso ad acqua, cibo, medicine e comunicazioni, per poi colpire con saccheggi violenze e massacri della popolazione. Le pozze di sangue sulla terra e i cumuli di cadaveri sono evidenti persino dal satellite. È anche grazie a questo che un rapporto dello Humanitarian Research Lab di Yale ha confermato quanto emerso dai filmati, spesso girati dagli stessi paramilitari, e dalle testimonianze diffuse sui social riguardo le brutali esecuzioni. Tra cui l’uccisione di oltre 460 persone e il rapimento di 6 operatori sanitari presso l’ospedale pediatrico saudita di Al Fashir.

L’ammissione delle Rsf sulle violenze e l’arresto di un comandante

Il leader delle Forze di supporto nate dalle ceneri dei “Janjaweed”, milizie arabe che all’inizio del secolo hanno ucciso centinaia di migliaia di abitanti non arabi del Darfur, ha annunciato un’inchiesta su quelle da lui definite come «violazioni commesse dai suoi soldati» durante la presa della città. Una dichiarazione che arriva dopo le crescenti segnalazioni di uccisioni di massa e l’indignazione internazionale suscitata dalle violenze. «In conformità con gli ordini dei nostri superiori e nel rispetto della legge, delle regole di ingaggio e della disciplina di guerra, le nostre forze hanno arrestato diversi individui – tra i nostri ranghi – accusati di atrocità commesse durante la liberazione di Al Fashir», hanno dichiarato le Rsf in un comunicato, smentendo però la strage all’ospedale saudita. Tra gli arrestati dovrebbe esserci anche “Abu Lulu”, il macellaio sudanese ripreso in decine di video mentre con il sorriso sulle labbra stermina file di civili allineati ai suoi piedi. La sua fotografia con le manette ai polsi segue la dichiarazione del capo dei paramilitari.

La guerra civile dimenticata 

Il Sudan è dilaniato da due anni di conflitto tra l’esercito regolare (Saf), guidato da Abdel Fattah al-Burhan, e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohammed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti. Entrambe le fazioni sono accusate di crimini di guerra per aver preso di mira i civili e ostacolato l’arrivo di aiuti umanitari nel Paese. Decine di migliaia di persone sono morte nel conflitto e oltre 12 milioni sono state costrette a sfollare, alimentando una crisi umanitaria senza precedenti. Attualmente, le Rsf controllano il Darfur e, con l’appoggio dei loro alleati, alcune aree del sud del Paese, mentre l’esercito conserva il controllo del nord, dell’est e del centro. La caduta di Al Fashir rischia di dividere nuovamente il Sudan. E, come in ogni guerra, a soffrirne sono soprattutto civili.

Foto copertina: NORWEGIAN REFUGEE COUNCIL a OPEN | Sudanesi fuggiti da Al Fashir e arrivati a Tawila

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