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Le falle nella sicurezza del Louvre: la password ridicola delle telecamere e il rischio di violazioni già segnalato nel 2014. Così si poteva accedere ai server

02 Novembre 2025 - 19:36 Cecilia Dardana
louvre furto parigi arresti
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Secondo documenti ufficiali risalenti al 2014 e aggiornati fino al 2024, le password che permettevano di accedere ai sistemi di sicurezza erano “LOUVRE” e “THALES”, quest’ultima riferita al software di protezione. Non è chiaro se le credenziali siano state cambiate nel frattempo

Una storia che sembra uscita da una commedia: le chiavi digitali del Louvre, il museo più famoso del mondo, erano incredibilmente semplici. Secondo documenti ufficiali risalenti al 2014 e aggiornati fino al 2024, le password che permettevano di accedere ai sistemi di sicurezza erano “LOUVRE” e “THALES”, quest’ultima riferita al software di protezione. Una combinazione così banale da mettere in discussione anni di fiducia nella sicurezza di uno dei luoghi più sorvegliati del pianeta e che il 19 ottobre è stato vittima di uno dei furti più clamorosi di sempre. Non è chiaro se le credenziali siano state cambiate nel frattempo, ma la rivelazione ha già sollevato un vero e proprio dibattito pubblico e politico.

Il problemi di sicurezza del Louvre

«È evidente che qualcosa non ha funzionato nel sistema di sicurezza», ha ammesso la ministra della Cultura, Rachida Dati. Dopo aver inizialmente sottolineato che «gli allarmi hanno funzionato», la ministra ha poi corretto il tiro: «Ci sono state mancanze nella sicurezza, serve chiarezza su tutte le responsabilità». Un’ammissione che arriva dopo il furto, avvenuto in pieno giorno davanti a decine di telecamere.

Il retroscena

Secondo Libération, già nel 2014 tre esperti dell’Agenzia nazionale per la sicurezza informatica avevano analizzato la rete del museo — telecamere, allarmi e controlli d’accesso — evidenziando il rischio di violazioni. Il loro report sottolineava: «Chi controlla la rete del Louvre può facilitare il furto di opere d’arte». In sostanza, dietro la facciata monumentale del museo più visitato al mondo, si nascondeva la più semplice delle “porte digitali”: un nome banale che, per un colpo informatico o una svista interna, poteva aprire scenari molto pericolosi.

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