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Il più grande sconto Irpef ai “ricchi” fu fatto da Mario Draghi nel 2021. L’Upb lo disse anche all’epoca. Banca di Italia però non se ne accorse

09 Novembre 2025 - 18:12 Franco Bechis
Nel dicembre 2021 il governo toccò tre aliquote Irpef, dando un beneficio massimo di 765 euro contro i 440 di oggi. Non fu messo un limite a 200 mila euro come oggi; quindi, dello sconto godettero anche i milionari. Il Pd e M5s non solo non protestarono, ma votarono il maxisconto ai milionari. Lo criticò come oggi l’Upb. Ma Bankitalia fece scena muta

Il più grande sconto Irpef con beneficio anche sui redditi alti non è quello della legge di Bilancio 2026 di Giorgia Meloni, che tante polemiche ha causato in questi giorni. Porta invece la firma di Mario Draghi e la data del dicembre 2021, quando fu approvata la legge di Bilancio 2022. Oggi è stata abbassata infatti una sola aliquota, dal 35 al 33 per cento dai 28 ai 50 mila euro lordi (2.400 euro netti mensili circa), e il beneficio massimo di 440 euro lordi è stato esteso fino ai 200 mila euro lordi di reddito (poco meno di 8 mila euro netti al mese). Allora le aliquote toccate furono tre. La prima, quella del 41% fu semplicemente cancellata. La seconda, del 38% sui redditi fra 28 e 50 mila euro, fu abbassata di 3 punti, portandola al 35% attuale (quello abbassato dalla Meloni dall’anno prossimo). La terza aliquota toccata fu quella fra 15 e 28 mila euro lordi, abbassata di due punti dal 27 al 25 per cento. Il beneficio massimo della manovra Draghi sull’Irpef fu quasi il doppio di quello a cui si arriva oggi: 765 euro. E ne beneficiarono senza alcun limite anche i redditi più alti, perfino quelli milionari.

Lo sconto esteso anche ai milionari allora fu di 765 euro lordi

Che la manovra Draghi fosse soprattutto a beneficio dei “ricchi” non lo disse nessun partito né esponente politico. Anzi, proprio chi oggi protesta contro lo sconto di 440 euro concesso ai ricchi fino a 200 mila euro, all’epoca non solo non contestò, ma votò in Parlamento lo sconto di 765 euro ai milionari. Lo fece il Partito democratico, lo fece il Movimento 5 stelle, lo fece Italia Viva di Matteo Renzi, lo fecero pure Forza Italia, la Lega e i centristi dell’epoca. A votare contro furono solo Fratelli di Italia di Giorgia Meloni (ma senza contestare lo sconto Irpef), e Nicola Fratoianni oltre ai fuoriusciti dal M5s che contestarono fin dall’inizio l’abbraccio di Beppe Grillo a Draghi. Non contestò lo sconto Irpef ai milionari nemmeno un sindacato: anche allora la Cgil di Maurizio Landini fece uno sciopero generale contro la manovra come quello annunciato oggi. Lo fece di giovedì (il 16 dicembre 2021) e non di venerdì, e soprattutto lo fece cinque giorni prima che fosse inserito con un maxiemendamento alla manovra proprio quello sconto Irpef su redditi poveri e su redditi ricchissimi. Landini dopo preferì rivendersi che lo sconto ai poveri era merito del suo sciopero generale, e fece finta di non vedere lo sconto ai ricchissimi.

Cinque anni fa l’Upb fu critico come oggi. Banca di Italia no, e chiuse entrambi gli occhi

Palazzo Koch, sede della Banca di Italia

In questo 2026 sono state tre le autorità indipendenti a criticare la manovra sull’Irpef perché parte consistente dello sconto di 440 euro sull’Irpef va a beneficio dei redditi più alti: l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), la Corte dei Conti e la Banca di Italia. Sulla legge di Bilancio 2022 quelle stesse considerazioni furono fatte mostrando coerenza e terzietà solo dall’Upb, che sfornò un rapporto “flash” quasi identico a quello di questi giorni, con toni perfino più critici anche perché in quel caso il beneficio era più consistente, appunto di 765 euro. Le altre due autorità restarono invece mute sull’Irpef. Non una parola dalla Banca d’Italia, che certo poteva essere in imbarazzo a criticare un ex Governatore come Draghi, ma che sempre e in ogni occasione dovrebbe sapere mostrare indipendenza e terzietà. Allora invece chiuse non un uno, ma entrambi gli occhi. Tanto da avere così legittimato la malizia di chi pensa che i suoi rilievi di oggi non siano tecnici, ma politici.

Le dichiarazioni Irpef però non sono lo specchio della ricchezza del paese

Ora come allora però l’intervento che abbassa le aliquote Irpef non è vero che a beneficiare degli sconti siano soprattutto i redditi alti. Per un motivo semplice: il numero degli italiani che al fisco dichiara redditi alti è assai basso. Fra 28 e 50 mila euro ci sono infatti circa 9 milioni di contribuenti. Sopra i 50 mila euro ci sono circa 3 milioni di italiani e la maggiore parte di loro (2,3 milioni) dichiara redditi fra 50 e 100 mila euro lordi. A guadagnare oltre 200 mila euro lordi ci sono in tutto 145.832 italiani, lo 0,34% dei contribuenti. Quindi oggi come ai tempi di Draghi la platea numericamente più toccata dagli sconti Irpef era quella con redditi medi o medio bassi (fra mille e 2.400 euro netti al mese), non quella con i redditi alti. Il problema è che la stragrande maggioranza dei 42,5 milioni di italiani che presenta una dichiarazione dei redditi dice di guadagnare meno di 1.000 euro netti al mese e quasi la metà di questa platea sostiene di guadagnare meno di 550 euro netti al mese.

È evidente che la dichiarazione Irpef non è lo specchio della realtà del paese. Ed è altrettanto chiaro che i veri ricchi di Italia non sono quelli che presentano la loro dichiarazione dei redditi sopra i 200 mila euro. Fra i veri ricchi c’è una buona percentuale di evasori, un esercito di elusori e un altro significativo esercito di chi non è tenuto a fare la dichiarazione dei redditi, perché non percepisce stipendio, ma rendita da capitale tassata in altro modo. E anche a livelli bassi o medi è difficile distinguere chi è più benestante da chi non lo è. Spesso non è il reddito a dirlo. Esempio: sta peggio chi guadagna 1.500 euro al mese, ma vive in provincia ed abita nella casa di proprietà ereditata dalla famiglia, o chi guadagna 2.400 euro al mese, ma vive in una grande città e non ha casa di proprietà, dovendo pagare un affitto? Le dichiarazioni Irpef dicono assai poco dell’Italia.

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