Venerus e il nuovo album: «Siamo in un periodo dominato dal buio, vorrei essere parte del cambiamento» – L’intervista

Si intitola Speriamo il nuovo album di Venerus, uno dei più raffinati sperimentatori del pop italiano contemporaneo. La sua musica è sempre condizionata da un’aura sospesa, eterea, da un percorso di purezza che, nella discografia italiana, è sempre più complicato da trovare e, abbiamo l’impressione, non è nemmeno che venga inseguito più di tanto. Lui invece individua un soggetto, la speranza, come motore unico di ogni singolo atto della nostra vita, e ci disegna attorno una serie di brani che lo sviluppano nelle più svariate forme. L’avventura, il viaggio, la moto, l’amore, dentro Speriamo ognuno può trovare il brano giusto per riconoscersi e, in qualche modo, trovarsi.
Questo disco in che momento della tua carriera ti trova?
«Per me sono tutte canzoni che attraversano il tempo, ora, quindi, armato di queste canzoni, di questo sound, di questo disco, mi sento di aver abbracciato tutto quello che è stato il mio percorso fino ad oggi, dalle cose più grandi alle cose più piccole, alle cose più strane, alle cose più semplici, e di poter veramente andare avanti con consapevolezza e con grande, mi viene da dire, anche professionalità nel mio mestiere, che è quello di scrivere, ma anche di performare, la musica»
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Hai presente quando i pittori finiscono un quadro e fanno un passo indietro per vedere l’opera nella sua interezza? Se tu fai un passo indietro, qual è il primo pensiero che ti viene in mente su quest’opera?
«La prima cosa che mi viene da pensare è che sono gasato. Però la vedo più come una sorta di scultura, che ha più dimensioni e ci si può girare attorno. E questa scultura vista da angoli diversi sembra veramente cose diverse. Guardandola da un angolo sembra un disco pop, un disco più risoluto, un disco più dritto.
Girando le canzoni in un altro ordine sembra una cosa fatta come va a me, senza strutture, senza arrangiamenti. Guardandola da un altro punto di vista è un disco rap, guardandola da un altro punto di vista è un disco cantautorale. Questa cosa qua mi eccita, nel senso che sono tutti aspetti della mia personalità, che siamo riusciti a far emergere e far convivere»
L’effetto finale poi…?
«Che stupirà un po’ tutti, che è un po’ quello che vorrei che facesse»
Il disco lo hai intitolato Speriamo ma la speranza sembra più la conseguenza di altri elementi della nostra vita come il viaggio, le avventure, la moto, l’amore ovviamente…
«La speranza è quella che ti fa continuare ad andare avanti, alla fine però penso che la chiave di lettura di questo disco è l’invito ad andare avanti e scoprire nuove cose, scoprire nuove sfaccettature, nuove sonorità, nuove possibilità. La speranza è un motore invisibile, ci affidiamo costantemente a questa energia invisibile che ci sostiene, anche nel cambiamento, anche nei rischi»
Ma la speranza è un atto, è un gesto, qualcosa che si compie o in qualche modo è una resa?
«La speranza in realtà per me è molto vicina al significato di vita stessa o di tempo, è il prendere coscienza del fatto che ci sarà un dopo, ci sarà un’altra occasione, un’altra possibilità, quindi è qualcosa che prevede una realizzazione, ma è anche qualcosa che ci trascende, ci attraversa, ci muove.
È quel sinonimo di esistere che però ci dà anche un’energia per cui voler andare avanti, non volersi fermare, e magari voler cercare di fare qualcosa che abbia un significato. È forse il sentimento che accomuna più direttamente le persone»
E la musica….?
«La musica per me dà speranza, ma non la mia, in generale. Dà speranza perché ti fa sentire compreso, ti fa sentire che altre persone sentono delle cose simili alle tue, quindi ti fa sentire che non sei da solo nel mondo»
Quindi una canzone conserva sempre quella potenza evocativa di un tempo?
«Io penso che non sia mai cambiata questa cosa. È cambiato lo sfondo, è cambiata la tecnologia, si è evoluta la coscienza collettiva, se vogliamo, anche la società, ed è cambiata anche la modalità con cui la musica entra nella vita delle persone, ma non è cambiato il potere che ha sulle persone»
Più che un’idea speranzosa è un’idea molto ottimistica considerate le dinamiche del mercato discografico odierno, complimenti…
«In realtà penso non faccia reale differenza, noi non abbiamo vissuto il periodo d’oro di quella che è la musica contemporanea, non sappiamo com’era. Per noi quelli sono i grandi: i grandi classici, la storia della musica, la storia della discografia, la storia delle canzoni, la storia della radio, la storia dell’iconografia, dei palchi, però non sappiamo com’era veramente stare in quella situazione.
C’erano delle guerre tremende anche allora, c’erano dei grossi problemi sociali. Io penso che il ruolo della musica sia comunque quello di unire le persone in un’esperienza collettiva che non ha bisogno di un’adesione, accade. Nel momento in cui ti arriva la canzone, se ti sa entrare dentro, se ti sa attraversare, ti prende, ti porta dove ti può portare. E nessuno sa dove ti può portare, né chi l’ha scritta né chi l’ha ascolta.
Sicuramente quello che si può fare è avere consapevolezza su cosa può fare la musica nella vita delle persone e, quindi, agire di conseguenza, come priorità su come si decide di scrivere le canzoni, interpretarle, produrle, come si decide di presentare un album, portarlo dal vivo»
Cosa ti ritrovi a sperare tu come uomo, come cittadino e come artista?
«Come uomo spero che questo periodo storico dominato dal buio, a livello umano e sociale, ma anche politico, possa trovare un culmine e cambiare direzione. La speranza è sempre che ad un certo punto tutti i problemi e le atrocità trovino una fine, un riposo e diano la possibilità di ricostruire diversamente tutto.
È una speranza molto ambiziosa e non so se troverà una soluzione in un tempo della mia esistenza, però lo auguro comunque a tutti gli altri esseri viventi che idealmente potranno vivere questa cosa. Come cittadino sento che ci sono tante persone simili e vicine a me che non si sentono rappresentate dai poteri, da chi decide le cose. Una sufficiente fetta di popolazione che vive diversamente da come ci viene venduto tutto e che, spero, possa veramente trovare la propria voce, la propria unità, anche per ritrovare i propri spazi e i propri tempi. Come artista, spero che quello che io faccio possa essere una parte di questo cambiamento»
C’è un pezzo nel disco che si intitola Cool, che è un fattore che ormai sembra determinante nella musica di oggi…
«A me piace difendere gli outsider, perché mi sento parte di questo club. È come se fosse una dedica a chi non ha bisogno del riconoscimento degli altri, perché magari ha qualcosa nella propria vita che gli dà abbastanza amore e soddisfazione e non deve sentirsi apprezzato dalla massa. È un po’ una mia osservazione personale, anche se poi in realtà su questa canzone ci sono saltate sopra tante persone.
E la cosa che mi piace è che ognuno veramente ha messo del suo nel raccontarsi, con il proprio linguaggio, con il proprio flow, così si è creato qualcosa di unico, anche perché normalmente quando hai la possibilità di coinvolgere dei nomi, anche un po’ grandi e grossi, si entra sempre in modalità “ok, vabbè, facciamo un singolo, giochiamoci bene questa occasione”, stavolta invece no e per me questo è mega cool.
Alla fine la musica non è le classifiche, non è i numeri di streaming, ma è la possibilità di ascoltare qualcosa che non hai mai sentito, quindi mi piace che anche gli altri abbiano deciso di parteciparvi, sapendo che con un pezzo così, senza ritornello, lungo quattro minuti e mezzo, sarebbe stato difficile che potesse essere qualcosa di riconoscibile, facilmente impacchettabile. Considero quel pezzo un po’ una piccola missione riuscita, poi vedremo anche un po’ come arriva alle persone»
Producendo questo disco hai scoperto qualcosa di nuovo su di te?
«Sicuramente ho scoperto tanti miei limiti e tante cose sulle quali ho dovuto e devo lavorare a livello di concentrazione e di abilità nell’immergermi completamente dentro qualcosa senza distrarmi, però è stato un grosso punto di consapevolezza e anche di cambiamento.
In generale ho anche capito che uno facendo la musica, facendo i tour, facendo tante cose una dopo l’altra, è anche facile che per abitudine si dimentichi il motivo per cui ha cominciato, per cui ha fatto le cose in un certo modo, però è molto importante tenerlo a mente, perché è un lavoro costante e, specialmente se vuoi che sia un lavoro lungo e che porti a tanti dischi, tanti momenti di crescita, c’è bisogno costantemente di ricordarsi qual è l’obiettivo»
Tu stai diventando l’artista che volevi diventare quando hai cominciato?
«Penso di sì. Sicuramente sono molto libero nel modo in cui mi esprimo e nel modo in cui penso, e questo è qualcosa che mi sono sempre augurato. Sto scoprendo cose volta per volta, e anche questo è qualcosa che mi auguravo. Ogni tanto mi fermo e prendo consapevolezza un po’ del mio presente, di quello che vivo, di quello che faccio, e penso che il me ragazzino sarebbe sicuramente molto entusiasta»
È difficile tenere la rotta rispetto quello che avevi intenzione di fare, in questo mercato super affollato, super trafficato? Perché, nonostante si percepisca forte il tuo impulso artistico, poi quello che produci finisce per diventare merce…
«È un lavoro, è sicuramente qualcosa con la quale serve confrontarsi, ma non è difficile, specialmente se hai degli ideali saldi che comunque ti guidano. Poi, per quanto ci convinciamo che il mercato funzioni secondo certe regole, in realtà poi la musica è molto più potente delle regole del mercato e la musica che deve arrivare arriva e trova le strade per arrivare, come se fosse un germoglio. Ha molta più potenza di quella che pensiamo che abbia.
Ovviamente è una strada complessa e tortuosa però, sai, tanta musica a cui il mercato non darebbe una lira arriva tantissimo e c’è tanta musica sulla quale il mercato investe un sacco di soldi che dura una settimana. Questo succede perché la musica è più grande di queste cose e quindi secondo me è importante ricordarsi quali sono i propri valori costantemente»
Possiamo dire che l’ultimo podio di Sanremo e la conseguente esplosione di Lucio Corsi, confermino questa cosa…? Tu in quella situazione ti ci vedresti?
«Sicuramente non sarebbe la prima in cui immagino la mia musica, però ogni palco è un palco, cioè di base tu ci fai quello che vuoi sul palco e quindi why not?»
Questo disco è stato presentato con una performance artistica e diventerà anche uno spettacolo teatrale. Credi ti stia anche aprendo nuove prospettive riguardo l’artista che potresti diventare, magari anche oltre la musica?
«La musica sarà sempre la drive di tutto sicuramente, non è che sento di dovermi necessariamente allontanare da questo luogo che ho tanto coltivato. Sicuramente voglio che apra tante porte, tante possibilità e voglio tanto mettermi in gioco in più modi possibili e penso che c’è ancora tantissimo da scoprire. Però la musica sarà sempre il punto di partenza e in qualche modo anche il punto d’arrivo»
