«Io, stuprata da minore e abbandonata dal paese. Mi dicevano “Sei pazza, ti devi ammazzare”»

A marzo 2025 sei persone sono state condannate per violenza sessuale di gruppo nei confronti di due ragazze minorenni di Seminara e Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria. Altri 6 sono stati assolti. Il gup del tribunale di Palmi Francesca Mirabelli ha disposto condanne dai 5 ai 13 anni di reclusione. Il 15 novembre 2023 l’operazione “Masnada” della polizia aveva fatto emergere anche la vicenda dello stupro. Il tribunale dei minorenni di Reggio Calabria ne ha condannati altri due a 4 anni di reclusione. Una delle due vittime racconta oggi al Corriere della Sera cosa è successo dopo l’inchiesta: le famiglie sono state isolate e condannate dalla comunità che si è schierata con gli stupratori. Alcuni legati a famiglie della ‘ndrangheta.
«Mi dicevano sei pazza, ti devi ammazzare»
«Mi dicevano sei pazza. Ti devi ammazzare. Mi hanno insultata, minacciata, picchiata, frustata. Ma io sono qui. Piuttosto che vivere nella menzogna avrei preferito morire. Tanto quella non era vita. Era la morte in vita», dice lei, oggi 22enne. Vive in una località segreta grazie all’intervento della Regione. «Ho cambiato paese da un paio di mesi, questo mi aiuta, prima vivevo chiusa in casa, barricata. Mi svegliavo al mattino dicendomi oggi proverò a uscire, ma poi non ce la facevo. Restavo a letto a piangere», racconta. Accanto a lei adesso c’è solo sua madre: «Ma anche prima, avevo accanto soltanto lei. Un po’ mi è stata vicina mia sorella, ma poi mi ha abbandonata. Mio fratello, l’altra mia sorella e i rispettivi compagni: adesso hanno il divieto di avvicinarsi a me. Mia zia e mio cugino, poi, hanno il braccialetto elettronico: se si avvicinano il mio dispositivo suona».
Seminara, le minacce e i maltrattamenti
I suoi parenti hanno queste misure perché «mi hanno minacciata, maltrattata, volevano convincermi a ritirare la denuncia contro quelli che mi avevano stuprata. Mia zia, la sorella di mio padre, e suo figlio mi hanno anche picchiata. Mia zia mi ha frustata con una corda. Mi diceva che dovevo morire. Che avrei fatto meglio a non nascere proprio. Abitava vicino a noi: si affacciava alla finestra e urlava improperi contro di me. Diceva che avevo rovinato la reputazione di tutti. Se fosse stato vivo mio padre non si sarebbe permessa. Mi manca moltissimo mio padre». Spiega perché ha denunciato: «Se non fosse venuta alla luce la storia dell’altra ragazza probabilmente non avrei mai trovato la forza di denunciare. Ma quando ho saputo cosa avevano fatto a lei, ho deciso di parlare».
Ti potrebbe interessare
«Se parli ammazziamo i tuoi familiari»
E racconta: «Mi tenevo tutto dentro. Quelli mi dicevano: se parli ammazziamo i tuoi familiari. Avevo il terrore». All’epoca aveva un fidanzato a cui non ha detto nulla: «Infatti, quando lo ha saputo, mi ha lasciato. Subito». Ringrazia «la polizia, i carabinieri. In particolare, la dirigente del commissariato di Palmi, Concetta Gangemi, e il mio poliziotto di fiducia, Francesco Prestopino. Senza i loro abbracci non ce l’avrei mai fatta. Sono stati la mia forza. Non li ringrazierò mai abbastanza». E ogni tanto sente l’altra ragazza: «So che nella scuola che frequenta adesso ci sono anche due dei condannati in primo grado, che all’epoca dei fatti erano minorenni. Ora se li ritrova lì ogni giorno. Così rivive tutto, in continuazione. Mi domando: ma come è possibile?».
