Il cassiere licenziato da Pam per il test del carrello: «Umiliato, mi è caduto il mondo addosso»

Fabio Giomi, 62 anni, di Poggibonsi, padre di due figli, è stato dipendente e cassiere dei supermercati Pam per oltre 13 anni. Poi l’hanno licenziato. Lavorava al Più a meno di Porta Siena. E l’hanno cacciato per il cosiddetto test del carrello. Insieme ad altri due a Livorno, mentre 45 dipendenti ai Gigli di Firenze sono stati messi in mobilità. «Ho scoperchiato un vaso, ma questa vicenda è motivo di grande sofferenza per me e la mia famiglia. È stato un trauma, sto vivendo giorni molto pesanti», dice oggi a La Stampa.
Il cassiere licenziato da Pam per il test del carrello
Giomi racconta il giorno in cui l’ispettore aziendale ha nascosto alcuni prodotti nel carrello della spesa: «È stato a metà ottobre. Alcuni mesi prima un controllore aveva già provato a far passare piccoli oggetti dentro una cassa di birra, senza pagare. In quel caso me n’ero accorto, avevo scoperto due lacci per capelli in una fessura della cassa. Nel secondo caso non mi sono accorto di rossetti e matite per gli occhi nascosti dentro una scatola con 15 bottiglie di birra. Erano celati in una fessura, difficile vederli». Dei test del carrello «In 13 anni che lavoro per la Pam non ne avevo mai sentito parlare. Per quanto ne so, credo di essere stato il primo a cui è stato fatto, nessuno dei circa 30 colleghi del supermercato è stato mai sottoposto a controlli».
Un test mirato
E Giomi pensa a un test mirato: «Non potrei dirlo con certezza. Ho iniziato a lavorare per Pam nel 2012, prima come scaffalista poi come cassiere. Ho sempre fatto bene il mio lavoro, sono stato anche premiato sette volte come miglior cassiere a livello nazionale in questi anni, ho vinto diversi buoni regalo dell’azienda». Dopo il controllo «il controllore ha usato parole poco gradevoli, dicendomi che avrei dovuto scoperchiare quella cassa di birra per scoprire quei rossetti non pagati. Ma è un’assurdità, non l’ho mai visto fare in nessun supermercato. Sono andato via dal negozio, senza dire nulla a nessuno. I miei colleghi hanno scoperto dopo cosa era accaduto. Mi stava cadendo il mondo addosso, ho dovuto raccontare tutto a mia moglie e ai miei figli, mi vergognavo. Ho risposto alla lettera di contestazioni dell’azienda dicendo che era difficile scoprire quei piccoli oggetti nascosti. Il 27 ottobre mi è arrivata, però, la lettera di licenziamento in tronco, la pena massima per un lavoratore».
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I sindacati
Ora, dice, «il supporto del sindacato, della Filcams Cgil, è fondamentale, non mi sento abbandonato. So che lunedì ci sarà un incontro a Firenze, con il tavolo delle crisi aziendali in Regione. E ci sono gli altri colleghi di Livorno, più i 45 di Campi Bisenzio che lottano per conservare il loro posto di lavoro. Fino all’ultimo ho sperato in un passo indietro della Pam, che potessi tornare al mio posto come cassiere. Sono giorni di angoscia, di paura per il futuro. Ma sapere che il sindacato è dalla mia parte mi dà una certa sicurezza».
