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Il ritorno di Irene Grandi: «Più si ha successo e meno la musica conta. Fiera della mia libertà» – L’intervista

23 Novembre 2025 - 19:01 Gabriele Fazio
Nel nuovo disco, Oro e rosa, anche un brano scritto da Francesco Bianconi (25 anni dopo Bruci la città, 15 anni dopo La cometa di Halley) e un featuring con Carmen Consoli

Si intitola Oro e rosa il nuovo album di inediti di Irene Grandi. Un disco adulto con cui l’autrice di brani ormai nuove icone della storia del pop italiano come La tua ragazza sempre, Bum Bum, Bruci la città, La cometa di Halley, Prima di partire per un lungo viaggio, Se mi vuoi, e In vacanza da una vita, decide di raccontare il cambiamento.

Il cambiamento nella vita di tutti i giorni, ma anche una nuova prospettiva artistica per lei che è ormai in tutto e per tutto un’artista indipendente («Da una parte è più difficile – dice a Open – e dall’altra c’è una quantità di libertà e una serie di rotture di palle in meno abbastanza importanti»). All’interno del disco anche un brano scritto da Francesco Bianconi (25 anni dopo Bruci la città, 15 anni dopo La cometa di Halley) e un featuring con Carmen Consoli. Un album che dimostra una maturità fuori dal comune e dai canoni imposti dalla discografia moderna, ricco di sostanza e centratissimo.

Un disco di tale spessore non può che farci chiedere come mai non si sia sviluppata una nuova generazione di interpreti come quella vostra…
«Speriamo che ci sia una riscoperta, secondo me dipende anche dal mezzo, avere il cd, avere il disco, avere quel supporto che magari nell’epoca di oggi sembra inutile, creava un’affezione. Adesso potendo avere tutto alla fine non abbiamo più niente»

La musica italiana, se ci pensi, ha anche smesso di pubblicare nuovi classici e tu di classici del nostro pop te ne intendi…
«Perché si consuma troppo velocemente. Anche questa cosa di fare l’album sembra fuori dal tempo, anche noi ce ne rendiamo conto quando lo facciamo, però allo stesso tempo è un’esigenza alla quale siamo ancora legati, perché crediamo nella nostra musica e crediamo che la vita musicale di un artista non si può ridurre solo a un singolo, non possiamo solo spiattellare singoli uno dietro l’altro.

Ci sono anche delle canzoni belle, più complesse, oppure più intimiste, cose che non sono materia per un singolone, ma dentro a un album rappresentano la perla. L’album è proprio uno sforzo che noi facciamo per amore del nostro lavoro, ma oggi sembra quasi non abbia neanche senso farli più»

Con che spirito un’artista come te compone oggi un album?
«Pochissime aspettative e molta voglia di comunicare, cercando di fotografare un momento, magari dando possibilità anche a vari autori. Prima, quando mi stavo costruendo un’identità, avevo meno persone intorno e si lavorava sulle canzoni creando una specie di poetica. Adesso che la mia identità ce l’ho, sono io che vado a selezionare, tra le tante canzoni con cui vengo a contatto, anche autori diversi uno dall’altro»

Ma qual è la scintilla emotiva che ha fatto scattare questo disco? Nei brani si percepisce forte la necessità di raccontare alcuni passaggi della tua vita…
«Dopo il Covid ho voluto anche fare delle esperienze un po’ diverse, meno pesanti. Durante quel periodo sono cambiati anche degli equilibri nella mia vita artistica, mi sono un po’ persa con una figura di riferimento molto importante che avevo prima, che era Saverio Lanza, con cui avevo prodotto e scritto gli ultimi sette, otto anni. Mancandomi questa figura, dovevo ricominciare da qualche altra parte»

Sì, ne hai accumulati di progetti prima di tornare in studio…
«Sì, non me la sono sentita di iniziare subito con degli inediti, ho cominciato con dei progetti live, anche perché avevo una gran voglia di andare a suonare, di uscire, di fare, non avevo voglia di mettermi in casa rintuzzata a scrivere. Così sono ripartita dal progetto Io in Blues, questo excursus sulla musica blues, che poi finiva con i miei pezzi più blues, da Boom Boom a La tua ragazza sempre. Poi c’è stato il progetto con Stewart Copeland sulle streghe.

Poi, dopo tre anni, ci siamo un po’ guardati con i miei compagni di lavoro e ci siamo resi conto che era il momento di fare qualcosa di nuovo. Con questo disco ho voluto provare a fotografare proprio quel momento lì, quando una cosa finisce e sta per nascere qualche altra cosa, e c’è quella prima trasformazione, il primo barlume di vita, come i colori dell’aurora e del tramonto, l’oro e il rosa, che sono preludio a un cambiamento»

In un’intervista hai parlato di “Buio artistico fisiologico”, ma come si vive quando ci si rende conto di aver fatto delle cose giganti e meravigliose, come le hai fatte tu, ma poi quell’approccio al pop lo vedi svanire…?
«In Oro e rosa canto “La magia di un istante che è perduto per sempre”. Io l’ho vissuto quel momento lì, però è anche vero che la traccia che ti lascia esiste ancora, quella gioia di creare, quella gioia di vedere una cosa che non c’era che poi c’è, un concerto che non c’era che poi si fa. È quello il segreto: pensare a quello che devi fare e non a quello che devi raggiungere, il viaggio in sé che è un po’ anche meta. Che poi ti chiedi: cos’era veramente bello del successo?»

Ecco, cosa ti piaceva di più del successo?
«Creare canzoni alle quali la gente si affezionava. Magari adesso è meno grande il numero di persone, però anche cambiare la vita solo a tre persone è già una grande soddisfazione e cerco di concentrarmi su questo, cerco di fare bene il mio lavoro senza troppo pensare a quali saranno le conseguenze, credendoci. Poi la musica si fa strada: una volta è nel live, una volta magari ti fa successo un pezzo, una volta magari ti chiamano per un film»

E alla fine sei riuscita a crearti un pubblico affezionato, che oggi come oggi è il livello più alto che si possa raggiungere…
«Sì, nonostante mi renda conto che non sposto più i numeri di prima e che la musica è cambiata, ci sarà pure della gente ancora attaccata a quel tipo di musica là. Quindi un po’ di pubblico ancora non siamo così decrepiti da non averlo più. Magari è meno, ma magari ti vuole ancora più bene di quanto te ne voleva quando avevi successo, perché riconosce anche questa tua resilienza, questa tua forza, questo tuo andare contro il mondo quando ce n’è bisogno. Perché non è detto che se il mondo va in una direzione quella sia quella giusta»

Hai raccontato anche del successo travolgente di quando avevi 25 anni, di cui non conservi un ottimo ricordo, no?
«Quella è una cosa alla quale non si pensa mai, anche io non so come avrei reagito se l’avessi saputo prima. Magari avrei detto “Aspetta un attimo, perché prima di Sanremo non si fanno altri tre o quattro anni di piccole cose? Ci si fa un po’ le ossa e poi piano piano si diventa sempre più grandi”. Perché da un giorno all’altro ritrovarsi che tutti ti conoscono, che tutti ti amano, crea effettivamente uno stravolgimento di vita.

Io ho avuto la fortuna di avere accanto persone che hanno iniziato con me, che quindi i primi anni di questa difficoltà mi sono stati vicini. È così che ti salvi da questo stravolgimento del successo, perché comunque hai la tua piccola famiglia e non sei sempre messo su un piedistallo. Perché è un po’ quello il problema del successo: sei messo su un piedistallo, ti trattano tutti bene, ma alla fine nessuno sa che cosa dirti, perché ti sentono distante. Quando sei famoso sei distante, non c’è nulla da fare. Quindi io ho sempre cercato di tenere il profilo basso, più umile possibile, perché non mi piace la distanza umana»

Nel disco c’è un brano insieme a Carmen Consoli, Colorado, ce lo racconti?
«Carmen l’ha definita una canzone “Desueta”. Mi ha fatto ridere con questa parola ricercata, mi fa proprio pensare a lei. Mi ha detto “Hai fatto una canzone come non se ne fanno più ormai, che sa proprio di un sapore retrò, ma molto elegante, raffinato, quasi come se fosse una Vanoni, una Mina, capito? Un po’ quelle canzoni con quei ritornelli che non esplodono mai, ma ti tengono sempre un po’ sospesi in alto”. Sono due anni che ce l’ho nel cassetto questo pezzo»

E non hai pensato di presentarlo a Sanremo? Ho letto che non hai mandato nulla a Conti quest’anno…?
«Per un attimo c’è stata una specie di mezza idea, poi abbiamo rinunciato anche perché Sanremo tende a cannibalizzare tutto il resto; il nuovo Sanremo ancora di più»

Il disco si chiude con Fiera di me, ma tra tutte le cose che hai fatto qual è quella che ti rende più fiera?
«Questo senso di libertà che ho acquisito negli anni, anche facendo dei passi indietro per certi versi. È già il secondo album che sono indipendente, che mi autofinanzio e poi trovo una distribuzione. Da una parte è più difficile e dall’altra c’è una quantità di libertà e una serie di rotture di palle in meno abbastanza importanti. Poi, ti dirò, secondo me più successo si fa e meno la musica diventa, per assurdo, importante.

Diventano importanti tante altre cose: l’immagine, la comunicazione, come esci o non esci nelle foto, i tempi, la strategia, tantissime altre sfaccettature del nostro lavoro che alla fine levano un po’ di tempo e di libertà alla musica. Questo spartiacque per me è stato come una conferma che comunque me la potevo cavare anche in altri ambienti, non per forza cantando In vacanza da una vita. Questa cosa mi ha dato tanta fiducia di poter fare della mia vita un po’ un’opera d’arte. Magari non ci sono riuscita con la musica a fare proprio delle opere d’arte, più opere di artigianato, ma nella vita devo dire un po’ d’arte l’ho fatta»

Trovare un equilibrio tra persona e personaggio quindi…?
«Sì, perché naturalmente non voglio neanche deludere quei fan che credono in me, però gli insegno ad avere un po’ più di pazienza, gli insegno anche a desiderare un po’ di più qualcosa e magari, nel frattempo, li allieto con dei progetti che comunque sono belli. Loro mi vedono felice perché io sono anche meno pressata da tutte queste aspettative che mi danno addosso e magari sono anche più disponibile con loro»

Cosa ti piacerebbe che rimanesse di questo disco in chi lo ascolta?
«Mi piacerebbe che trovassero la profondità di dire: bisogna avere coraggio di lasciare andare e ricostruire, dormire, morire e rinascere il giorno dopo. Il coraggio di essere anche un po’ diversi, di sperimentare, di trasformarsi, perché la trasformazione è vero che è dura, certe volte fa paura, però dà anche una grande carica, dà anche tanta vita»

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