Ilda Boccassini e l’indagine su Borsellino: «A Palermo mi consideravano nemica»

Ilda Boccassini, la pm della procura di Milano ma anche di Palermo nel marzo 1995, è stata interrogata dalla procura di Caltanissetta sui moventi e i mandanti occulti dell’omicidio di Paolo Borsellino. C’è un’indagine su Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli, accusati di aver insabbiato un dossier sui rapporti tra le cosche e il gruppo Ferruzzi. E nel suo verbale Ilda la Rossa ha raccontato che nella procura guidata da Gian Carlo Caselli era difficile lavorare. E la lotta alla mafia non era svolta con la trasparenza e la determinazione che lei si sarebbe aspettata.
Il verbale di Ilda
Il verbale di Boccassini, oggi riportato da La Verità, risale al 18 giugno 2025. Agli atti c’è anche un appunto riepilogativo intitolato «cronistoria e consistenza del procedimento 6613/94» firmato da lei e da Roberto Saieva. In questo procedimento era stata disposta da Natoli, in accordo con Pignatone, la discussa «smagnetizzazione delle bobine» e «la distruzione dei brogliacci» relativi a conversazioni telefoniche di boss del livello di Antonino e Salvatore Buscemi e Francesco Bonura.
«Redigemmo una relazione scritta su ciò che mancava nei fascicoli o non era stato fatto, circostanza che scontentò i colleghi. Devo precisare che, durante la mia permanenza a Palermo, ebbi la percezione di essere considerata “una nemica”. Ho saputo che, prima del mio arrivo, un collega, durante una riunione, disse: “Macchine blindate non ce ne sono, verrà con il ciuccio”. Addirittura Roberto Saieva voleva andarsene subito. Probabilmente abbiamo redatto una relazione così dettagliata perché abbiamo rilevato una serie di anomalie che non ci avevano convinto». È uno dei ricordi di Boccassini.
La riunione della Dda
L’ex pm parla anche di «una riunione della Dda nel corso della quale noi appuntammo, di tutta una serie di procedimenti che ci erano stati assegnati, le anomalie che avevamo rilevato secondo i nostri parametri di valutazione. Le anomalie le rilevammo in diversi procedimenti, incluso Sistemi criminali (avviato da Roberto Scarpinato, ndr) del quale non ci fu neppure, però, consentito di vedere tutti gli atti».
Boccassini contesta l’indagine originale anche in un altro passaggio del verbale: «Ricordo moltissime anomalie anche nel procedimento Sistemi criminali. Ad esempio, Marcello Dell’Utri non era iscritto, ma furono acquisiti i tabulati dei suoi telefoni cellulari». In procura «il clima era pessimo, i colleghi non ci salutavano neppure. Ad esempio, Scarpinato, quando passava nei corridoi, non mi salutava. Solo in occasione della mia imminente partenza venne a dirmi che dovevo rimanere a Palermo perché doveva essere portato a termine il processo Andreotti».
Boccassini e Pignatone
Invece Pignatone, ricorda Boccassini, «era l’unico con il quale, all’epoca, avevo rapporti cordiali […], intendo dire che era l’unico con cui parlavo e scambiavo il saluto. Del resto, ai tempi di Duomo connection, fu proprio Giovanni Falcone a dirmi che avrei lavorato con il miglior sostituto che aveva».
Infine, la decisione di lasciare la Sicilia: «Io e Saieva decidemmo di andarcene perché non ci veniva consentito di lavorare, poiché tutto veniva concentrato sul processo Andreotti e su Sistemi criminali. Dovevo rimanere per un anno, ma sono tornata a Milano dopo sei mesi e anche Roberto Saieva tornò a Roma. Ho certamente sempre pensato che il fulcro delle indagini sulla Calcestruzzi (società del gruppo Ferruzzi in affari con i Buscemi, ndr) dovesse essere Palermo».
