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L’Italia e il nucleare, cosa dicono gli esperti? «Costa tanto? Colpa dei politici. L’Ue è più avanzata della Cina ma sta dormendo»

10 Dicembre 2025 - 17:39 Ugo Milano
la scossa nucleare
la scossa nucleare
Il divulgatore Luca Romano e i professori Pippo Ranci e Andrea Malizia si sono confrontati sul palco dell’evento di Open “La Scossa” sulle lungaggini burocratiche e sul fabbisogno italiano di nucleare

Il «no» al nucleare di molte persone deriva da due fattori: costi elevati e tempi elevati. «Li hanno causati i politici, con la overregulation e con l’instabilità politica», è la posizione di Luca Romano, fisico e divulgatore con la sua pagina “L’avvocato dell’atomo”. «Sono problemi da politici, non da ingegneri. I piccoli reattori che dicono di volere, i politici li stanno usando per tentare di tenere a bada problemi che così non possono essere risolti». Eppure, come ha sottolineato il professore e advisor all’European University Institute, Pippo Ranci: «La questione economica è resa complicata proprio dalla lunga durata dei progetti». Un dialogo, quello sul futuro del nucleare in Italia e sulle concrete mosse che il governo sta prendendo, che ha aperto il pomeriggio dell’evento La Scossa – Il mix di energie per mettere in sicurezza l’Italia e la sua bellezza, che si è tenuto mercoledì 10 dicembre all’Ara Pacis, a Roma. L’evento è finanziato da Next Generation EU, dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e da Unioncamere ed è realizzato con il sostegno di Edison e patrocinato dal comune di Roma.

L’Europa voltagabbana e il dibattito sempre vivo

«Spesso si usano i termini “rischio” e “pericolo” in modo intercambiabile, ma hanno significati molto diversi. Per il nucleare, il pericolo è alto, ma il rischio è basso: sono entrambe vere perché la probabilità di accadimento è molto bassa. Semplicemente chi è pro parla del rischio, chi è contro parla del pericolo». È la fotografia scattata da Andrea Malizia, professore associato in Misure e Strumentazioni Nucleari a Tor Vergata. Per questo è fondamentale lavorare sulla formazione, sia di chi fa l’informazione sia di chi fa il divulgatore. Il problema, come sottolinea Luca Romano: «In Europa abbiamo avuto atteggiamenti ondivaghi e tutt’ora li abbiamo: in alcune politiche l’energia nucleare è considerata pulita, in altre no».

La decarbonizzazione e il nucleare: «Farebbe parte di un mix energetico»

«Il nucleare non è tutto o niente, ma si sceglie come componente di un mix energetico», puntualizza il professor Pippo Ranci. «Le fonti rinnovabili sono intermittenti, sono alla mercé del sole e del vento. Il nucleare può assicurare quella generazione continua che serve all’intero sistema e alle industrie di base che hanno una domanda continua». Proprio per questo, se l’obiettivo è decarbonizzare a ogni costo, «non possiamo essere schizzinosi» una volta che ci viene portato il conto: «Il costo è meno importante e rimane ancora congetturale. Un grande investimento iniziale necessita di un intervento pubblico con sussidi, chiarendo con quanti soldi il governo sia disposto a entrare nella partita». 

Le tecnologie Ue e l’attendismo del governo italiano

Ma lo sguardo è proiettato a futuro, viste le tempistiche dei progetti: «C’è una presa di coscienza che il nucleare serva, si stanno facendo piano piano dei passettini avanti. Ma siamo lenti e siamo indietro. Eppure, su tecnologie e brevetti l’Europa è avanti alla Cina, semplicemente siamo ancora addormentati», è la critica mossa da Luca Romano. Secondo il divulgatore manca un ente regolatore unico che acceleri i processi: «Quando ci sono 27 enti regolatori differenti, la valutazione della conformità della componentistica va fatto Paese per Paese nonostante gli standard siano uniformi». E la sua sensazione è che il governo italiano voglia continuare a rinviare la questione: «Sta calciando la lattina in avanti, aspettano che arrivi la fusione e che renda tutte le altre tecnologie obsolete. Ma la tecnologia non è dietro l’angolo e non è detto che le altre tecnologie diventino obsolete: di solito si aggiungono, non vengono sostituite». A maggior ragione quando, come spiega il professor Andrea Malizia, la fusione «ottimisticamente parlando riusciamo a vederla tra 60-80 anni, se continuiamo a questi ritmi». 

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