L’aumento dell’età pensionabile in arrivo: «A rischio cinque milioni di lavoratori»

L’aumento dell’età pensionabile rischia di diventare una trappola per i lavoratori. Uno studio della Cgil rivela che dal 2028 chi ha redditi più bassi dovrà lavorare cinque mesi di più. E a rischio ci sono cinque milioni di italiani. L’analisi dell’Osservatorio Previdenza dice che l’aumento dei requisiti previsto dal governo con la nuova legge di Bilancio – 1 mese in più dal 2027 e 3 mesi in più dal 2028, rispetto ai 67 anni di età ed ai 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne – avrà ricadute ancora più pesanti su chi già oggi vive di lavoro povero, donne e giovani in particolare.
L’aumento dell’età pensionabile
Ovvero per 5,1 milioni di dipendenti privati, quasi un lavoratore su tre. Quelli che non riescono a farsi riconoscere un anno pieno di contributi perché lavorano con contratti brevi, part-time involontari e salari troppo bassi. Dal 2028 intanto chi ha retribuzioni basse dovrà lavorare mesi in più per recuperare l’incremento di 3 mesi deciso dal governo, spiega a La Stampa Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil. Per esempio con cinquemila euro annui di reddito per ottenere i 3 mesi aggiuntivi previsti serviranno quasi 2 mesi di lavoro in più. Nel 2040, per compensare l’ulteriore incremento, ne serviranno oltre 7. Nel 2050 si arriverà a un anno e un mese in più di lavoro, perché ogni 20 mesi lavorati ne varranno solo 12 ai fini della pensione.
Redditi bassi e medi
Gli effetti si sentiranno anche sui redditi medio-bassi. Per chi percepisce 8.000 euro l’anno i 3 mesi in più del 2028 significano circa un mese e una settimana aggiuntivi di lavoro. Nel 2029, con l’aumento a 5 mesi, serviranno almeno altri due mesi. Nel 2040, per recuperare i 13 mesi stimati, saranno necessari quasi 5 mesi di lavoro ulteriore. E nel 2050, con +23 mesi previsti, si dovranno aggiungere altri 8 mesi di lavoro in più. Un meccanismo che rende la pensione sempre più lontana proprio per chi ha avuto una vita lavorativa determinata da bassi salari.
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Il minimale contributivo
Il sindacato fa anche notare un altro fenomeno definito «gravissimo» legato al minimale contributivo che dal 2022 è cresciuto del 16,5%, quindi molto più dei salari. «Questo comporta che anche chi lavora tutto l’anno perde settimane di contributi utili», spiega ancora Cigna. «A retribuzione invariata, dal 2023 al 2026 un lavoratore può perdere 22 settimane, oltre 5 mesi e mezzo di pensione futura cancellati pur avendo lavorato ogni singolo giorno». Per essere considerato valido come anno contributivo occorre infatti che la retribuzione arrivi ad almeno 12.551 euro lordi annui. Chi ha salari bassi e lavori discontinui rischia concretamente di non avere una contribuzione sufficiente.
