«Guerra contro gli ebrei»: i post che hanno portato Meta a chiudere una rete di pagine

Nei primi giorni di dicembre, Meta ha chiuso una rete di pagine italiane dove sono state riscontrate tutta una serie di violazioni gravi e reiterate delle proprie norme. Non si è trattato di un singolo post “fuori luogo”, ma di un insieme coerente di contenuti che, nel tempo, avevano costruito una linea editoriale riconoscibile per aggressività, sessualizzazione e attacchi mirati, figurando in particolar modo numerosi riferimenti antisemiti. In questo articolo riportiamo alcuni degli esempi più significativi di quei contenuti, utili a comprendere le ragioni che hanno portato alla decisione della piattaforma.
In uno dei post più espliciti, l’autore sosteneva e alimentava apertamente una “guerra contro gli ebrei“, presentandola agli utenti come una sorta di missione. Il messaggio non presentava metafore ambigue o ironia indiretta, ma conteneva un invito formulato in modo estremamente diretto: «Attenzione, comunicazione importante!!! L’armistizio non si applica a noi e pertanto vi chiedo di continuare a considerarvi in guerra contro gli ebrei».

Oltre al filone antisemita, le pagine si caratterizzavano anche per altre forme di attacco e disumanizzazione, rivolte non solo a persone viventi, ma anche a figure pubbliche decedute, molto conosciute e amate dal pubblico italiano. La pubblicazione reiterata di questi contenuti contribuiva a normalizzare attacchi indegni e disumani, spingendosi fino all’uso di allusioni alla pedofilia come strumento per colpire e delegittimare i bersagli individuati. Un’escalation di contenuti che confermava la presenza di un modello comunicativo fondato sull’annullamento della dignità personale, più che su una critica riconoscibile o su una forma legittima di satira.
Il linguaggio antisemita nei post e nei commenti
Nei testi comparivano riferimenti caricaturali ai tratti fisici, in particolare al naso adunco, l’uso ossessivo e dispregiativo di nomi ebraici come “Shlomo” per indicare genericamente persone ebree, allusioni alla circoncisione e al Muro del Pianto, sfruttati come strumenti di dileggio contro gli ebrei o presunti tali. La Shoah e i suoi testimoni venivano evocati non per essere ricordati, ma per essere ridicolizzati o degradati, mentre eventi contemporanei come la strage del 7 ottobre venivano piegati a una narrazione di scherno e colpevolizzazione collettiva. Un clima che trovava riscontro anche nei commenti degli utenti che seguivano le pagine, dove comparivano insulti espliciti nei confronti dei bersagli prefissati ed espressioni come «Ebrei infami», che contribuivano a rafforzare e normalizzare un linguaggio d’odio apertamente e inequivocabile antisemita.
La strage del 7 ottobre come strumento di dileggio
Un ulteriore contenuto riguardava la strage del 7 ottobre, pubblicato il giorno dell’anniversario, dove il massacro veniva utilizzato come pretesto per un attacco generalizzato contro giornalisti ed ebrei. Il testo descriveva le giornaliste de Il Foglio come sessualmente disponibili, ridotte a oggetti, mentre i colleghi maschi venivano caricaturizzati con stereotipi antiebraici storici, tra cui riferimenti al naso adunco, alla circoncisione e al Muro del Pianto.

Non si trattava di pubblicazioni di critica. La strage, di fatto, non veniva ricordata come evento traumatico, ma trasformata in uno sfondo per deridere, sessualizzare e attaccare un’intera categoria professionale e gli ebrei.
I post su Liliana Segre
La missione antisemita veniva ulteriormente confermata in diversi contenuti, dove figure pubbliche italiane, legate alla religione ebraica e dell’Olocausto, venivano inserite in racconti inventati e volutamente degradanti. Uno dei post riguardava Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto, dove la senatrice veniva descritta in una scena sessualizzata e umiliante, trasformando deliberatamente una testimone della Shoah in un oggetto erotico, riducendo la memoria storica a materiale di intrattenimento grottesco.

In un’altra occasione, la senatrice veniva raffigurata in forma caricaturale come una strega dalla pelle verdastra, protagonista di una rappresentazione violenta e disumanizzante in cui veniva mostrata mentre torturava un minorenne rinchiuso in una gabbia, in una narrazione che associava la violenza a finalità economiche.
Il post su Nadia Toffa e la strumentalizzazione sessuale
Non solo antisemitismo. Un esempio emblematico riguarda la conduttrice de Le Iene Nadia Toffa, morta nel 2019 a causa di un tumore. Il suo nome veniva richiamato non per una critica professionale o per un commento sul suo lavoro, ma per strumentalizzarla in chiave sessuale con allusioni alla masturbazione stimolata dalla visione di suoi «porno deepfake».

Il post grottesco contro Mario Adinolfi e Michela Murgia
Un altro post coinvolgeva due personaggi noti, accomunati da una rappresentazione umiliante e disumanizzante fondata sul body shaming. I bersagli, in questo caso, erano Michela Murgia, deceduta nel 2023, e Mario Adinolfi, descritti nel testo come “i maggiori obesi degli opposti schieramenti“.
Il racconto li inseriva in una scena grottesca insieme a un “feto maturo” e alla figura del Dio cristiano, costruendo una narrazione volutamente violenta dove Adinolfi divora il feto e l’umanità intera davanti a Dio, per poi passare a una sequenza ancora più estrema, in cui venivano narrati atti di mutilazione del corpo di Michela Murgia e l’uso del resto del corpo per finalità estremamente grottesche.
Contenuti che, di fatto, non risultano equiparabili alla provocazione politica o a una presunta satira riconoscibile, ma a una costruzione narrativa basata sulla violenza simbolica e sull’annullamento della dignità personale dei bersagli.
I post sui giornalisti
Oltre alle colleghe e ai colleghi de Il Foglio, tra gli obiettivi di questa rete di pagine c’erano Daniele Capezzone, attuale direttore de Il Tempo, Paolo Mieli (più volte raffigurato in una vignetta che richiamava lo stereotipo antisemita dell’ebreo che si sfrega le mani), David Parenzo e il nostro editore Enrico Mentana.

In un post, David Parenzo veniva descritto come una creatura disumana, dotata di sangue “verdastro”, capace di rigenerarsi dopo un colpo di pistola e di tornare nella propria “tana sotterranea” per “covare rancore e vendetta”.

Le allusioni alla pedofilia come strumento di attacco
In alcuni post, diverse figure venivano accostate in modo diretto o allusivo alla pedofilia, senza alcun riscontro fattuale, all’interno di racconti inventati e volutamente denigranti, con l’evidente intento di generare disgusto e amplificare l’umiliazione del bersaglio prefissato.
Uno di questi veniva rivolto a Daniele Capezzone, utilizzando una sua fotografia reale, scattata nello spogliatoio di una palestra, decontestualizzata e accompagnata da un testo costruito in prima persona che simulava il punto di vista di «un’alunna della terza media» sorpresa nello spogliatoio durante l’ora di educazione fisica. Una chiara allusione basata sull’accostamento tra un adulto identificabile e una minore.
Di fatto, questo tipo di contenuti, oltre a colpire le persone citate, normalizzano l’uso della pedofilia come strumento, trasformando un crimine estremamente grave in un espediente narrativo per l’intrattenimento e il dileggio.
La segnalazione e la decisione di Meta
Nel complesso, ciò che emergeva dai numerosi contenuti pubblicati da questa rete di pagine social non era una presunta satira riconoscibile né una provocazione isolata, ma un modello comunicativo fondato sull’odio verso gli ebrei e la disumanizzazione dei bersagli, dove le persone reali venivano private della loro dignità e utilizzati per generare reazioni e condivisioni.
La chiusura delle pagine, identificate con il nome di “Phazyo“, create e gestite in passato con un obiettivo “satirico”, è avvenuta a seguito di una richiesta di analisi dei contenuti pubblicati, per le quali Meta non è intervenuta per dei “singoli episodi occasionali”, ma contro le pagine intere a causa di una lunga serie di attività incompatibili con gli Standard della Community.
