Famiglia nel bosco, la figlia Utopia Rose: «Perché non vorrei andare in una scuola». Il conto in banca dei bambini e cosa dicono gli assistenti sociali

«Non vado a scuola, studio a casa. A me piace così, non vorrei andare in un istituto con altri bambini». Sono le dichiarazioni di Utopia Rose, la bambina di 8 anni della cosiddetta famiglia nel bosco, contenute nel dossier dei giudici. Oggi la Corte d’Appello dell’Aquila dovrà tornare sul caso per decidere sul «reclamo» dei legali di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham contro la sospensione della responsabilità genitoriale. Non ci sarà alcuna discussione in presenza, tutto sarà sostituito da documenti scritti. Le dichiarazioni della piccola erano state rilasciate ai giudici lo scorso 28 ottobre, qualche settimana prima dell’ordinanza del tribunale dei minorenni che aveva disposto l’allontanamento dei bambini, ma sono diventato pubbliche solo ora.
Le parole della bambina nel dossier del giudice
«Nella nostra casa, che tutti chiamiamo Amilia, abbiamo stufe a legna e c’è sempre molto caldo. C’è tutto, la luce e l’acqua calda. Dormiamo insieme in una camera, ognuno con il proprio letto. Ci piace stare tutti insieme, nella casa di prima stavamo in camere su piani separati, ma stiamo meglio adesso», aveva detto la bambina, come riferisce la Repubblica. La piccola Utopia Rose aveva ricostruito come viveva assieme ai fratelli nella casa di pietra immersa nel bosco di Palmoli: «Ci piace giocare insieme, all’aperto. Costruiamo una casetta e ci occupiamo dell’orto. Amiamo lavorare la lana con i ferri, lo facciamo tutti e tre. Siamo vegani e mangiamo quasi tutte cose prodotte da noi. Io cucino a colazione i pancake per tutti. Ci piacciono molto le cose che mangiamo e ci piace prepararle insieme, come i panini con le uova delle nostre galline. I parenti che vivono in Australia li vediamo in videochiamata con il tablet». E ancora: «Mamma e papà ci leggono dei libri, alcuni in italiano e altri in inglese». Un racconto, almeno all’apparenza, di grande serenità familiare.
Il conto corrente dei figli in Australia
Quanto, invece, alla presunta precarietà economica della famiglia, la madre Catherine Birmingham aveva provato a fornire elementi di rassicurazione: «I nostri figli hanno un conto corrente in Australia, sul quale noi, ma anche i nostri parenti, depositiamo del denaro che servirà quando saranno grandi. Ci sono cinque sorelle e mia madre a contribuire in maniera importante». La donna aveva inoltre riferito al giudice onorario Marco Pezzopane e alla curatrice, sempre lo scorso 28 ottobre, che godeva di indipendenza economica grazie alla sua vita professionale come insegnante di equitazione.
Ti potrebbe interessare
- Famiglia nel bosco, i genitori cedono su vaccini e maestra a casa. La tutrice dei bambini: «Stanno imparando solo ora l’alfabeto e socializzano»
- La famiglia nel bosco incontra i funzionari dell’ambasciata d’Australia. Le curatrici dei bambini: «Vogliamo ragionare con loro sull’obbligo scolastico»
- Famiglia nel bosco, le curatrici dei bambini dicono no al ricongiungimento: cosa c’è nel fascicolo del giudice
Che cosa dicono gli assistenti sociali sulla “Famiglia del bosco”
Queste dichiarazioni, però, non erano bastate a convincere l’equipe di assistenti sociali. Nelle scorse settimane, la curatrice speciale Marika Bolognese e la tutrice Maria Luisa Palladino, responsabili dei tre figli, avevano espresso un parere critico (non vincolante) sulla possibilità di far ricongiungere i piccoli ai genitori. «Non è in discussione la scelta di vita delle persone, bensì la tutela del diritto all’infanzia», c’è scritto nella relazione al vaglio del giudice, che mette nero su bianco anche «l’igiene personale apparsa subito scarsa e insufficiente» all’arrivo in comunità. Sul rapporto dei bambini con gli altri minori della comunità, gli assistenti sociali parlano di «imbarazzo e diffidenza», soprattutto quando si tratta di confrontarsi sulle proprie «esperienze personali». Tra i piccoli, «si evidenziano deprivazioni di attività condivisibili con il gruppo dei pari, per esempio da un semplice gioco ad attività più specifiche come i compiti scolastici e conoscenze generali». La tutrice, inoltre, ritiene i bambini siano molto indietro a livello didattico, nonostante abbiano finora praticato l’unschooling, tanto che la più grande di 9 anni non saprebbe né leggere né scrivere. Ora i giudici hanno 60 giorni di tempo, a partire da quando è stato presentato il reclamo alla Corte d’Appello, per prendere una decisione sulla famiglia neo rurale. La scadenza è quindi il 27 gennaio.
