Il “salario minimo” negli appalti, la Consulta boccia il ricorso del governo: sì alla soglia dei 9 euro. Il caso in Puglia

La Corte costituzionale ha respinto il ricorso presentato da Palazzo Chigi contro la legge della Regione Puglia che introduce una soglia salariale minima di nove euro l’ora negli appalti pubblici regionali. Con la sentenza numero 188, depositata oggi, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate dalla presidenza del Consiglio, dando di fatto il via libera alla normativa pugliese. La legge regionale prevede che, nei bandi di gara per appalti e concessioni, la Regione e i suoi enti strumentali indichino come criterio di selezione l’applicazione di contratti collettivi che garantiscano ai lavoratori una retribuzione oraria non inferiore ai nove euro. Una scelta che il governo aveva contestato sostenendo che la Regione avesse oltrepassato i propri confini di competenza.
Il ricorso di Palazzo Chigi: perché è stato respinto
Nel ricorso, Palazzo Chigi aveva invocato diversi articoli della Costituzione, denunciando una presunta invasione dell’autonomia della contrattazione collettiva e della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e livelli essenziali delle prestazioni. Secondo l’esecutivo, fissare una soglia retributiva avrebbe compromesso l’uniformità del trattamento salariale su tutto il territorio nazionale. La Corte costituzionale, però, non è entrata nel merito di queste obiezioni.
La norma non introduce il salario minimo per tutti
I giudici hanno chiarito che la norma pugliese non introduce un salario minimo generalizzato valido per tutti i rapporti di lavoro privati, ma opera esclusivamente all’interno di un perimetro ben definito, quello degli appalti pubblici e delle concessioni affidate dalla Regione. Proprio per questa ragione, le questioni sollevate sono state giudicate inammissibili, poiché non risultano lesi beni o interessi costituzionali nello specifico ambito delle procedure di evidenza pubblica. Il pronunciamento assume un peso politico rilevante nel dibattito sul salario minimo, tema su cui il confronto tra governo e opposizioni resta acceso.
