Bonus per i diplomati in Manovra, Renzi: «Una versione ridotta e ingiusta del mio 18app. Colpisce i ragazzi più fragili» – L’intervista

Tra le varie norme presenti nella Legge di Bilancio 2026, il cui maxi-emendamento alla Manovra ha ottenuto ieri, 23 dicembre, il via libera al Senato, ce n’è una rivolta ai giovani che è passata un po’ in sordina rispetto al più chiacchierato voucher da 1.500 euro per le famiglie che iscrivono i figli alle scuole paritarie. Si tratta del Bonus valore cultura, un incentivo per cui l’Esecutivo ha stanziato 180 milioni, ma che si attiverà nel 2027 e sarà rivolto ai diplomati entro il 19esimo anno di età. Con questo bonus – a cui si potrà accedere tramite la Carta giovani nazionale – gli studenti potranno acquistare biglietti per rappresentazioni teatrali, cinematografiche, spettacoli dal vivo, libri, abbonamenti a quotidiani e periodici, anche in formato digitale, ma anche ingressi ai musei e biglietti per eventi musicali.
Un bonus che richiama l’impostazione di quello che fu il Bonus cultura 18app, introdotto dal leader di Italia Viva, allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, durante il suo governo, e successivamente rimosso dall’Esecutivo Meloni nel 2023 per «esaurimento fondi».
Con questa Legge di Bilancio il Governo introdurrà il Bonus valore cultura. Come le sembra questo incentivo rispetto al Bonus cultura 18app che era stato introdotto durante il suo Esecutivo?
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«Mi sembra una versione ridotta, complicata e soprattutto meno giusta. La 18App era universale, semplice, immediata: 230 milioni all’anno, non 180, e funzionava subito. Qui invece siamo davanti a un bonus che parte tardi, con meno risorse e più paletti. È il classico caso in cui si smantella una buona idea per ragioni ideologiche e poi la si ripropone peggiore. Peraltro spiegassero a quelle due ondate di diciottenni passati perché solo loro non hanno potuto beneficiare della misura, perché l’avevano legata all’Isee e al voto di maturità».
Eppure solo qualche mese fa Meloni aveva detto che non avrebbe «mai fatto nulla di ciò che ha fatto lei».
«Sono d’accordo con Giorgia Meloni: con il mio Governo abbiamo fatto solo per citarne alcune il jobs act, gli 80 euro, industria 4.0, le unioni civili, la riforma del terzo settore, cancellato l’imu sulla prima casa e l’Irap costo del lavoro. Giorgia Meloni ha aumentato le tasse e non è riuscita a portare a casa una riforma, ancora. Quanto al bonus cultura, siamo abituati alle sue giravolte: diceva che le tasse sono “pizzo di Stato” e ha portato la pressione fiscale al 42,8 %, stava con Putin e ora sta con Zelenski, qualche giorno fa ho persino visto un suo vecchio video in cui si diceva favorevole a una patrimoniale».
Il nuovo bonus è già stato accusato di essere poco inclusivo, visto che è destinato solo ai ragazzi diplomati entro i 19 anni. Gli studenti bocciati, dunque, sarebbero esclusi.
«È una stortura evidente. 18 app era universale perché la cultura è universale, non può essere vista come un premio per i “bravi” ma come un investimento sul futuro. Con questo sistema si colpiscono proprio i ragazzi più fragili, quelli che avrebbero più bisogno di opportunità».
Quanto può fare la differenza nella vita dei giovani?
«La 18App non era solo un bonus economico, era un messaggio: lo Stato crede in te, investe su di te. Libri, teatro, musica, formazione. Chi la critica spesso non ha mai parlato con un ragazzo che l’ha usata davvero».
Su cosa dovrebbe lavorare l’Esecutivo?
«Proprio sui giovani. Questo governo fa scappare i laureati e lascia le strade delle nostre città ai maranza.
La fuga dei cervelli è un dramma per il nostro Paese. Nel 2024 i ragazzi tra i 18 e i 34 anni in fuga all’estero sono aumentati del 48% rispetto all’anno precedente. Solo nel 2024 si parla di 78mila. Se si prende invece il dato complessivo sono 190mila gli italiani che hanno lasciato l’Italia. Noi investiamo e spendiamo per formare questi ragazzi e loro poi portano altrove queste competenze perché questo Paese non è in grado di retribuirli adeguatamente.
Noi alla Leopolda con il prof Nannicini abbiamo proposto la start tax, una rivoluzione fiscale generazionale: hai meno di 30 anni? Paghi solo il 10% di Irpef. Ne hai meno di 40? Allora paghi il 20%. Meno tasse, più futuro per i nostri giovani».
Parlando della Manovra nella sua interezza, come le sembra?
«È una manovra mediocre. Aumenta la pressione fiscale, non fa crescere il Pil ma soprattutto non racconta un’idea di Paese. Giorgia Meloni pensa molto ai mercati e poco ai supermercati, per dirla in modo semplice. Tante tasse nascoste, poca crescita, nessuna ambizione».
Come giudica i movimenti degli ultimi giorni? I ripensamenti, i malumori nel centrodestra e la riunione d’urgenza in commissione Bilancio?
«Sono il segno di una maggioranza divisa e confusa. Per mesi hanno detto che la sinistra era spaccata, poi alla prova dei fatti si sono divisi loro: tra sovranisti da palco e rigoristi da ministero. Quando manca una visione e l’unico collante è il potere, questi sono i risultati».
