Dal Nepal alla Serbia: così la Generazione Z in rivolta sta scuotendo le democrazie del mondo. Le potenziali proteste in arrivo nel 2026

La Generazione Z sta trasformando la rabbia e la frustrazione in una pressione politica concreta, dimostrando che la protesta non passa solo per le piazze ma trova nuovi linguaggi e forme di mobilitazione attraverso i social media. Criticata da più parti per essere la generazione del «click» più che della marcia, quella dei TikTok, dei meme e dei post virali, la Gen Z sta invece dimostrando una capacità di organizzazione e influenza rilevante. In Indonesia come in Perù, dal Nepal al Madagascar, i giovani stanno traducendo la propria indignazione in azioni concrete che costringono i governi a confrontarsi con richieste radicali e immediate. Un’analisi di Bloomberg Economics ha messo in luce i fattori che alimentano questa angoscia giovanile che si traduce in mobilitazione. L’analisi è stata realizzata alimentando un modello di apprendimento automatico che spazia dalla polarizzazione politica alla disuguaglianza di reddito, dai prezzi del petrolio alle strutture demografiche. Nei Paesi dove la penetrazione dei social è elevata e l’età media bassa, come appunto Nepal, Madagascar, Perù e Marocco, le tensioni su temi quali disoccupazione, disuguaglianza e corruzione hanno maggiori probabilità di trasformarsi in proteste diffuse e disordini civili.
Le proteste in Nepal che hanno portato alle dimissioni del primo ministro
In Nepal, ad esempio, decine di migliaia di giovani sono scesi in piazza dopo che il governo aveva imposto restrizioni sui social. La protesta, inizialmente pacifica, è degenerata in scontri con le forze di sicurezza. Diversi edifici pubblici e persino l’Hilton di Kathmandu sono stati dati alle fiamme e si sono registrati diversi morti e feriti. Il risultato è stato clamoroso, il primo ministro K.P Sharma Oli si è dimesso, sostituito da una leadership ad interim guidata da Sushila Karki, ex giudice della Corte Suprema. Inoltre, il blocco del governo a 26 piattaforme social è stato rimosso.
Madagascar, Perù e Serbia
Situazioni analoghe si sono registrate in Madagascar, dove i manifestanti hanno contestato tagli ai servizi essenziali, come acqua ed elettricità, e le diverse inefficienze del governo. Le proteste hanno costretto il presidente Andry Rajoelina a destituire l’intero esecutivo. In Perù, la Generazione Z ha contribuito alla caduta della presidente Dina Boluarte dopo l’esplosione delle manifestazioni contro la crescente insicurezza e la crisi politica del Paese, mentre in Serbia gli studenti universitari sono riusciti a mobilitare la popolazione contro il governo, facendo ritirare un progetto immobiliare controverso a Belgrado. È stata una delle proteste studentesche più grandi della sua storia post-jugoslava.
Le potenziali proteste in arrivo nel 2026
Secondo Bloomberg Economics, l’analisi dei dati globali mostra come la combinazione di alta penetrazione dei social media, giovani demografie e disuguaglianze economiche renda alcune società particolarmente vulnerabili ai disordini civili. Paesi come Etiopia, Angola, Guatemala, Repubblica Centrafricana e Malesia sono stati indicati nell’analisi di Bloomberg Economics come possibili nuovi focolai di disordini civili nel 2026. Le ragioni di questa rabbia sono ricorrenti. Difficoltà economiche, disoccupazione giovanile elevata, sottoccupazione, corruzione politica, crescente insicurezza. Le economie avanzate, invece, tendono a essere meno inclini a gravi disordini civili, ma in alcune il rischio rimane comunque elevato, come negli Stati Uniti e Israele. Secondo l’economista Daron Acemoglu, premio Nobel 2024, «la democrazia sembra essere in una sorta di crisi in tutto il mondo. Non è un problema estraneo ai giovani, anzi, sono la punta di diamante di questa crisi». La sfida per le democrazie liberali sarà trovare soluzioni concrete e sostenibili a queste pressioni, altrimenti il malcontento rischia di trasformarsi in una rottura delle istituzioni o nel crollo del loro sostegno.
