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Emozioni e videogiochi, come siamo cambiati davanti alla console

05 Gennaio 2019 - 07:27 Henry Albert
L’ago della bilancia si è spostato dalla distrazione all’intrattenimento, dall’evasione all’immersione. Titoli come The Last of Us hanno insegnato che creare personaggi e dinamiche emotivamente coinvolgenti è fondamentale quanto la modernità e l’efficienza del gameplay

Chi gioca ai videogiochi lo fa per svago. Una constatazione ovvia, ma anche la base sulla quale si fonda tutta l’industria. Il divertimento del giocatore è il pensiero fisso di chi concepisce, sviluppa e vende videogiochi.

Questo assunto fondamentale è in evoluzione da tempo. Il mercato globale dei videogiochi è ormai molto più grande di quello del cinema e il livello di produzione è salito di conseguenza. Non a caso, gli americani chiamano i titoli più importanti blockbuster games. La ricchezza dell’industria non influisce solo sugli aspetti tecnici del videogioco, ma anche su quelli creativi: più scrittori, più concept artist, più attori. Red Dead Redemption 2, campione indiscusso di incassi e di critica per il 2018, ha creato il suo universo western con mille doppiatori.

L’ago della bilancia si è spostato dalla distrazione all’intrattenimento, dall’evasione all’immersione. Titoli come The Last of Us hanno insegnato che creare personaggi e dinamiche emotivamente coinvolgenti è vitale quanto la modernità e l’efficienza del gameplay.

Ma c’è chi vuole spingersi ancora oltre. È possibile creare un videogioco che non offra soltanto una fuga dalla realtà, ma un’esperienza significativa che punta a migliorare “umanamente” il giocatore?

Jenova Chen sta provando a rispondere a questa domanda da anni: lo sviluppatore cinese vuole trasformare i videogiochi in un motore di pace interiore e ricerca personale. Questa missione permea tutto il suo lavoro. Flower, uscito nel 2009, è concepito come una poesia interattiva, e mette il giocatore nei panni del vento; i petali raccolti durante il tragitto trasformano il paesaggio in maniera inaspettata e lirica. Non a caso, nel 2013 Flower entra a far parte della collezione permanente dello Smithsonian.

Con l’avvento dei giochi su social network, Jenova ha iniziato investigare sui rapporti di collaborazione tra videogiocatori. Primo su tutti Journey, titolo del 2012, nel quale più giocatori devono compiere un pellegrinaggio viaggiando insieme. Possono comunicare esclusivamente attraverso suoni musicali e scoprono l’identità dei compagni soltanto al termine del percorso. Le atmosfere musicali di Journey gli valgono una candidatura ai Grammy, la prima nella storia per un videogioco.

Fino ad oggi, i giochi di Jenova Chen sono sempre usciti su console. Ora, invece, ha deciso di sviluppare il suo prossimo titolo come app per il cellulare, per coinvolgere un pubblico ancora più vasto: non solo giovani ma intere famiglie.

Il nuovo progetto, Sky, previsto per il 2019, è un gioco il cui fine è “spandere luce”. I giocatori volano tenendosi per mano in un “desolato regno dei cieli, dove sono fondamentali generosità e compassione”.

C’è anche chi studia i benefici dei videogiochi in modo più concreto. La EEDAR, uno dei più grandi ricercatori di mercato del settore, ha collaborato con alcuni medici della UCSD (University of California San Diego) per sviluppare una lista di videogiochi terapeutici.

Emozioni e videogiochi, come siamo cambiati davanti alla console foto 1

A sintomi specifici sono assegnati videogiochi specifici: dolore (Mario Kart 7, Forza Horizon 3, Overwatch), ansia e iperattività (Pokemon: Sole/Luna, The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Proteus), e anche tristezza (LEGO Dimensions, Donkey Kong Country Returns 3D, Shovel Knight).

Molti sviluppatori indipendenti hanno provato ad esplorare le potenzialità del videogioco, ma nessuno quanto Ryan Green. That Dragon, Cancer è quasi del tutto autobiografico e ricostruisce la storia di Green e della sua famiglia nell’affrontare la malattia terminale del figlio più piccolo, scomparso a 5 anni.

È un titolo tecnicamente semplice, incentrato sulla narrazione fuori campo, su scene evocative e una colonna sonora malinconica. L’esperienza di gioco è dolorosa, a tratti confusa, ma anche liberatrice.

Nel crearlo Green stava cercando di offrire una speranza da contrapporre al pensiero della morte: “Non sapevo che altro fare. Sono un creativo, è così che elaboro le cose. Volevo che le persone amassero mio figlio come lo amo io, e per farlo dovevano incontrarlo. Il videogioco dà l’opportunità di indossare i nostri panni, ma da un posto sicuro.”

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