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Le liti con Macron e il «no» a Guaidó: la politica estera del Governo affossa la candidatura alle Olimpiadi 2026 

12 Febbraio 2019 - 07:06 Valerio Mammone
Secondo il presidente del Coni Malagò, la Francia e i paesi dell'America Latina potrebbero votare per Stoccolma, unica rivale di Milano e Cortina. Tutta colpa della neutralità sul Venezuela e degli incontri con i Gilet Gialli

«Abbiamo perso tutta l’America Latina e sono a rischio anche i tre voti della Francia». Al governatore della Lombardia Attilio Fontana deve essere andata di traverso la cena quando il presidente del Coni Malagò gli ha dato questa notizia. La tribolata candidatura italiana alle Olimpiadi invernali del 2026 ora è appesa a un filo: non per i demeriti delle due città candidate in tandem, Milano e Cortina, né per i meriti dell’unica rivale rimasta, Stoccolma. Ma per le scelte di politica estera del Governo: prima la lite con la Francia, poi la rottura definitiva col presidente autoproclamato del Venezuela Juan Guaidó, appoggiato da quasi tutta l’America Latina.

Ieri, 11 febbraio, il ministro degli Esteri Enzo Moavero ha ricevuto una delegazione inviata dal capo dell’opposizione venezuelana. Il messaggio portato dai “messaggeri” è identico a quello contenuto in una lettera che Guaidó ha inviato ai media italiani. Una lettera piena di rammarico e «sconcerto» per la posizione politica italiana. Tra i big dell’Unione Europea l’Italia è l’unica a non aver appoggiato Guaidó. Il nostro veto ha impedito alla Ue di riconoscerlo ufficialmente come legittimo presidente del Venezuela: un passaggio formale per il quale sarebbe servita l’unanimità. Unanimità che manca anche all’interno del Governo: il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha detto più volte di essere contro Maduro e a favore di Guaidó.

Il Movimento 5 Stelle ha deciso di essere neutrale e di invitare i due presidenti in carica a risolvere la questione attraverso le elezioni. «Non capiamo perché il Paese europeo a noi più vicino non prenda una posizione chiara e netta contro il dittatore Maduro e non chieda, con forza, libere elezioni, sotto l’egida della comunità internazionale, e lo sblocco degli aiuti umanitari», ha scritto Guaidó nella sua lettera, ricordando che «59 Paesi nel mondo (tra cui gli Usa, ndr) e il Parlamento europeo hanno riconosciuto l’Assemblea Nazionale, e quindi la mia persona, quale Presidente provvisorio del Paese, con il preciso e limitato compito di portare il Venezuela, al più presto, a libere e democratiche elezioni». Il messaggio ai media italiani finisce con un ultimo appello: «Oltre due milioni di venezuelani portano orgogliosamente cognomi italiani. Una comunità numerosa che guarda all’Italia come un punto di riferimento. Molti di noi sono anche cittadini italiani. Abbiamo bisogno che siate al nostro fianco».

Difficile, se non impossibile, che le parole di Guaidó riescano a scavare una breccia nel muro eretto dal Movimento 5 Stelle, sul quale sono rimbalzate persino le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che pochi giorni fa ha chiesto «senso di responsabilità e chiarezza su una linea condivisa con tutti i nostri alleati e tutti i nostri partner dell’Unione europea». Ieri sera, 11 febbraio, Conte avrebbe dovuto incontrare Salvini e Di Maio per trovare un compromesso, ma il vertice è saltato all’ultimo. Difficile che i due partiti di Governo riescano a trovare un accordo entro oggi, quando dovranno riferire in Parlamento dopo essere stati sollecitati a prendere una posizione ufficiale in Aula, e non su Twitter, da tutti i partiti d’opposizione.

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