Le Pussy Riot arrivano in Italia. La storia del gruppo punk in 8 video

Hanno iniziato a Mosca, nel 2012. Nel corso degli anni le loro proteste sono diventate virali e ad alcune ragazze sono costate il carcere. Ecco quelle che hanno segnato le tappe più importanti del loro percorso

La band più odiata da Vladimir Putin sta per cominciare per la prima volta un mini tour italiano. Sono previste solo due date: al Legend Club di Milano la sera del 13 febbraio e all’Estragon di Bologna il 15 febbraio. La loro storia comincia nella Piazza Rossa di Mosca, mentre davanti ai passanti urlano «Putin si è pisciato addosso».


1 – Mosca, gennaio 2012

Sono vestite leggere nonostante il freddo intenso. Sono in otto, indossano passamontagna colorati, sventolano una bandiera viola e un fumogeno. Urlano «Putin Zassal», «Putin si è pisciato addosso». Davanti a loro c’è una piccola folla di curiosi che le guarda dal basso. Sono salite sul Lobnoe mesto, la piattaforma di pietra nella Piazza Rossa dalla quale venivano proclamati le leggi degli zar. Le Pussy Riot si fanno sentire per la prima volta.


2 – Mosca, febbraio 2012

Cinque donne entrano nella Cattedrale di Cristo Salvatore, si tolgono i vestiti invernali e rivelano passamontagna colorati e abiti dai colori intensi. Si avvicinano all’altare e iniziano a urlare Punk Prayer, la loro preghiera punk, un inno blasfemo contro Putin e la Chiesa ortodossa. Nella cattedrale non c’è quasi nessuno. Interviene la sicurezza, la performance dura meno di un minuto. Il gruppo monta le immagini che ha rubato con quelle di un’altra protesta e distribuisce il video, poi rimosso da YouTube per incitamento all’odio. Le Pussy Riot hanno gridato il loro manifesto.

3 – Mosca, marzo 2012

Iniziano i guai. Un’indagine che coinvolge anche l’antiterrosimo porta all’arresto di Maria Alyokhina, Yekaterina Samutsevich e Nadezhda Tolokonnikova. Sono accusate di «teppismo motivato da odio religioso». Dopo tre mesi di detenzione viene depositato un atto formale d’accusa di 2.800 pagine. Ad agosto, poco prima della sentenza, esce Putin zazhigayet kostry, Putin accende le fiamme. La canzone dice «sette anni non sono abbastanza, datecene diciotto». Il giudice Marina Syrova condannerà a due anni di reclusione la moscovita Marija Alëchina e la siberiana Nadežda Tolokonnikova. Ekaterina Samucevič è scarcerata su cauzione.

4 – Yavas, settembre 2013

Nel campo di lavoro 14 di Partsa in Mordovia, 500 chilometri ad est di Mosca, Nadezhda Tolokonnikova inizia lo sciopero della fame, protestando contro le condizioni durissime e le minacce di morte che sostiene di aver ricevuto. Nedezhda è trasferita prima in una cella singola, poi cambia due ospedali. Si teme per la sua salute, ma nessuno sembra interessato a farla diventare una martire. Il 19 dicembre, a Mosca, la Duma vota all’unanimità l’amnistia per Marija Alëkhina e Nadežda Tolokonnikova, nonostante il parere contrario di Putin. È il 20º anniversario della Costituzione russa, le attiviste vengono scarcerate con altre 25 mila persone in tutta la nazione.

Escono di prigione il 23 dicembre, due mesi e mezzo in anticipo rispetto a quanto stabilito dalla sentenza. Il processo alle Pussy Riot non attira troppa attenzione in patria ma diventa una vera e propria cause célèbre a livello internazionale. Ricevono il supporto di politici, artisti e naturalmente altri musicisti. Tra i tanti, Madonna, Paul McCartney e Björk, che gli dedica la sua Declare Independence e invita le Pussy Riot a suonare con lei. Orange, un’attivista, risponde di no: «Siamo lusingate, ma suoneremo solo a concerti illegali. Ci rifiutiamo di partecipare a un concerto capitalista, dove vengono venduti biglietti».

5 – Sochi, febbraio 2014

Tolokonnikova, Alyokhina e altre tre componenti del gruppo decidono di suonare Putin Will Teach You to Love the Motherland alle olimpiadi invernali, cercando di portare l’attenzione sulla corruzione e la soppressione delle libertà in Russia. Vengono arrestate il 18 febbraio e subito rilasciate. Escono di prigione con i passamontagna addosso, cantando. Ci riprovano il giorno dopo, vengono picchiate da Cosacchi in uniforme.

Non passano 24 ore che un rappresentante del Comitato Olimpico Internazionale chiede alle Pussy Riot di non esibirsi al Parco Olimpico di Sochi, in quanto «inappropriato». A marzo, durante una visita a Nizhny Novgorod in supporto ai diritti dei prigionieri, un gruppo di uomini sconosciuti (con addosso nastro di San Giorgio) tira vernice verde addosso a Tolokonnikova, Maria Alyokhina, and Taisia Krugovykh. Alyokhina è colpita da un barattolo.

6 – Febbraio 2015

Le Pussy Riot pubblicano il loro primo singolo in inglese: I can’t breathe, le ultime parole pronunciate da Eric Garner mentre la polizia di New York lo soffocava a terra durante un arresto. In realtà Alyokhina and Tolokonnikova si occupano del video, che traccia un parallelo tra gli stati di polizia di Russia e Usa, mentre la canzone è suonata da altre due bande russe, Jack Wood e Scofferlane.

7 – Ottobre 2016

In risposta alla candidatura di Donald Trump, le Pussy Riot lanciano il singolo Make America Great Again. Il video, pubblicato sul canale YouTube ufficiale del gruppo, ha più di 3 milioni e mezzo di visualizzazioni. È diretto da Jonas Åkerulnd, regista di videoclip diventato famoso con Madonna, ed esprime l’evoluzione del collettivo punk. La musica è di secondaria importanza, sono centrali il messaggio e le immagini con cui viene veicolato.

8 – Mosca, 2018

Siamo allo Luzhniki Stadium, è il secondo tempo della finale dei Mondiali di calcio tra Francia e Croazia. COn indosso le divise della polizia Veronika Nikulshina, Olga Pakhtusova, Olga Kurachyova e Pyotr Verzilov (marito di Nadezhda Tolokonnikova) mettono in atto la loro performance più recente: Policeman Enters the Game, i poliziotti entrano in partita. Dejan Lovren spinge a terra Verzilov. Veronika Nikulshina batte un doppio cinque con Kylian Mbappé a centrocampo. Le Pussy Riot chiedono alle autorità russe di liberare tutti prigionieri politici, cessare gli arresti illegali ai raduni pubblici, permettere la competizione politica nel Paese ed eliminare la corruzione nel sistema penale. Finiscono in carcere per 15 giorni.

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