Da «Bella Mafia» a «Caffè Mafiozzo». All’estero il cibo italiano è sempre più associato ai boss di Corleone

Siti internet, libri di ricette e piatti di mezzo mondo accomunati da nomi legati alla criminalità organizzata. «Un danno enorme per il Made in Italy», denuncia Coldiretti

«Bella Mafia», «Chilli Mafia», «Cosa Nostra». All’estero sono sempre di più i ristoranti che scelgono di associarsi alla mafia per attirare più clienti, dice il sesto Rapporto sulle Agromafie e i crimini agroalimentari, stilato da Coldiretti. Una scelta di marketing, che si ripercuote sui prodotti italiani e sull’immagine del made in Italy nel mondo, colpendo i produttori impegnati a promuovere qualità ed eccellenza certificate. I casi citati dal rapporto sono diversi: oltre al ristorante parigino «Corleone» di proprietà di Lucia Riina, figlia del defunto boss Totò, in Spagna c’è la catena di ristoranti «La Mafia»; in Messico o a Sharm El Sheik si trovano pizzerie dai nomi vagamente evocativi come «Cosa Nostra» o «Bella Mafia». 


Da «Bella Mafia» a «Caffè Mafiozzo». All'estero il cibo italiano è sempre più associato ai boss di Corleone foto 3


Segue poi il caso dei «Chilli Mafia», anacardi prodotti nel Regno Unito, così come le spezie prodotte in Germania, le «Palermo Mafia Shooting». Poi abbiamo il «Caffè Mafiozzo», bulgaro, e la «Wicked Cosa Nostra», la salsa piccante made in Usa. Il folklore coppola e lupara si è spinto persino in Norvegia: lì si producono i «Mafiakaker eller cannoli», ossia «Il dolce della mafia, i cannoli».

Da «Bella Mafia» a «Caffè Mafiozzo». All'estero il cibo italiano è sempre più associato ai boss di Corleone foto 1

Su internet è addirittura possibile acquistare il manuale «The mafia cookbook», o comprare caramelle sul portale Candymafia o ricevere i consigli di mamamafiosa, con sottofondo musicale a tema. L’autrice del blog racconta di essere stata, a sua insaputa, la moglie di un mafioso e di aver gestito per anni con lui un ristorante, prima che il marito fosse ucciso. «È sempre più urgente bonificare da ogni forma di pregiudizio la comunicazione mediatica internazionale, specie quando veicola prodotti di qualità e rappresentativi del Made in Italy, associandoli a stereotipi che nulla hanno a che vedere con l’enogastronomia», ha spiegato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini.

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