Regioni, INPS, recessione: tutti i punti che potrebbero ritardare il reddito di cittadinanza

Lo scontro tra Stato e regioni sui navigator, lo stallo politico sulla nomina del presidente dell’Inps e i dati economici che preannunciano una crisi possono portare ad un allungamento dei tempi per l’attuazione del reddito di cittadinanza

Dal 6 marzo sarà possibile richiedere il reddito di cittadinanza, ma il meccanismo rischia di incagliarsi. Non sono pochi i problemi all'orizzonte che possono rallentare l'iter, molto rapido, che porterà – a partire da aprile – all'erogazione dell'assegno mensile per quasi cinque milioni di persone (se lo richiederanno).


Stato e regioni tra autonomia e centralismo

Ci sono in particolare due fronti istituzionali aperti. Il primo è quello più importante e dai tempi ed esiti incerti: il ricorso alla Corte Costituzionale della Regione Toscana sul tema dei navigator. L'annuncio del Presidente Enrico Rossi infatti rischia di far saltare, in caso di bocciatura della Consulta, il processo di assunzione delle nuove figure strategiche per tutto il sistema del reddito di cittadinanza. La Regione Toscana chiede che vengano cambiate modalità di assunzione e procedure di selezione assumendo per primi coloro già in graduatoria e solo dopo utilizzando le procedure previste dal decreto sul Reddito di cittadinanza e dalla Legge di Bilancio.


Questo inciderebbe sui tempi perché i concorsi regionali hanno tempi più lunghi delle procedure dell'ANPAL per l'assunzione dei navigator e sui costi, perché assunzioni a tempo indeterminato sono molto più onerose rispetto a quelle con un contratto di collaborazione, come previsto ad oggi. Sembra che altre regioni seguiranno la strada della Toscana e anche per questo la stessa ANPAL Servizi a oggi non ha ancora diffuso le modalità di reclutamento dei navigator. Il risultato sarebbe l'erogazione del reddito senza che il sistema di supporto alla formazione e al reinserimento occupazionale sia attivo.

Il tutto capita all'interno di una situazione paradossale in cui una parte del governo spinge per una maggior autonomia regionale, anche sul fronte della gestione delle politiche del lavoro, mentre l'altra parte spinge per un sistema che accentra alcuni compiti, come i processi di selezione dei navigator, per poi far gestire alle regioni il risultato.

In fondo sono ancora le conseguenze della mancata approvazione della riforma costituzionale al referendum costituzionale del dicembre 2016 che proponeva proprio un accentramento delle competenze nelle mani dello Stato centrale, comprese quelle sul lavoro che avrebbero dato un ruolo molto diverso all'ANPAL, che oggi è un'anatra zoppa. Referendum al quale proprio chi oggi vorrebbe accentrare si è opposto.

I capitoli INPS e ISEE

C'è poi un secondo fronte istituzionale che riguarda la presidenza dell'INPS. La situazione sembra essersi sbloccata con il governo che sarebbe concorde nel nominare Pasquale Tridico ai vertici, ma non c'è ancora l'ufficialità e si potrebbero attendere gli esiti delle elezioni in Sardegna per calcolare il peso specifico delle due anime del governo. Al di la degli scontri politici si tratta di una nomina che deve essere ufficializzata ed essere pienamente operativa per non creare ritardi sia sul fronte di Quota 100 che del reddito di cittadinanza.

Infatti, eventuali modifiche al testo del decreto, che è ancora in Parlamento per l'iter di conversione, potrebbero richiedere un passaggio da parte dell'Inps. Così come tutte le decisioni che spetterebbero al presidente nell'ambito del processo di attuazione delle due misure sarebbero bloccate in attesa di una nomina ufficiale.

Altra problematica da affrontare è quella del sovraccarico dei Centri di assistenza fiscale (Caf) che si vedono sommersi di richieste di calcolo dell'ISEE e che rischiano di non riuscire, con le risorse che hanno a disposizione, a gestire tutte le pratiche in tempo perché i potenziali aventi diritto possano presentare la domanda per il reddito di cittadinanza.

Il nodo dell'economia

All'interno di questo scenario c'è poi l'ombra, che giorno dopo giorno è sempre più una certezza, di una crisi economica imminente, se non già presente nei fatti. Il calo degli ordinativi delle industrie, certificato ieri dall'Istat, è solo l'ultimo segno premonitore di quello che sarà nei prossimi mesi. Qui non si tratta di rallentamento delle procedure di avvio del reddito di cittadinanza, ma dell'efficacia di uno dei suoi due pilastri: quello delle politiche attive per il reinserimento lavorativo dei disoccupati in povertà.

In questo quadro sarà sempre più difficile che le imprese adottino una politica espansiva nelle assunzioni, è molto più probabile che si muovano in senso opposto con il doppio risultato di aumentare le fila di coloro che chiederanno il reddito e diminuire le possibilità di trovare lavoro per chi già lo percepisce. L'assuefazione generata da un continuo diffondersi di dati negativi sembra aver anestetizzato opinione pubblica e governo, quasi come se dovessimo accettare gli eventi senza pensare di poterli governare.

Ma non è così, ed è sempre più chiaro che la situazione economica ci dice che non potrà essere il reddito di cittadinanza a farci uscire dalla crisi. Sarà uno strumento di supporto alla povertà, ma probabilmente non di politiche attive, per un motivo molto semplice: senza interventi strutturali sull'economia il lavoro continuerà a mancare. Anzi, mancherà sempre di più.

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