Secondo presunti archeologi i monumenti antichi in Sardegna emanerebbero energia terapeutica

La chiamano “megalito-terapia” o “terapia delle tombe dei giganti”. In Sardegna diversi guru delle tesi archeologiche “alternative” affermano che alcuni monumenti sardi si troverebbero sopra a delle fonti di energia, queste infonderebbero poteri tarapeutici alle rocce delle strutture. Tutto questo mette a rischio anche l’integrità dei siti

La Sardegna ha un problema nella gestione del patrimonio archeologico. Lo abbiamo visto recentemente in occasione della visita del Ministro dei beni culturali. Così mentre all’aeroporto di Elmas e in altre zone di interesse turistico vengono esposte mostre fotografiche rappresentanti un’immagine «alternativa» dell’archeologia, con riferimenti ad un mitico passato atlantideo. Ma c’è anche chi frequenta le Tombe dei giganti nella convinzione che abbiano potere terapeutico. Gli archeologi che operano nell’Isola da tempo lamentano una situazione paradossale, in cui autodidatti proclamatisi «studiosi indipendenti» vengono presi maggiormente sul serio in nome dell’interesse turistico, mentre chi è veramente titolato a custodire il patrimonio archeologico finisce per fare la parte del bacchettone ottuso. 

L’energia terapeutica delle Tombe dei giganti

Le Tombe dei giganti sono strutture magalitiche utilizzate per la sepoltura collettiva dai Nuragici: popolo che abitava la Sardegna nel Secondo millennio a.C. Ci sta tantissimo che si conservino miti e leggende popolari attorno a queste costruzioni, il problema è quando c’è chi millantando competenze scientifiche, sostiene la cosiddetta «terapia delle Tombe dei giganti». Alcuni di questi monumenti, come la tomba di Li Mizani tra Arzachena e Palau, emanerebbero «energia positiva». Si parla anche di «megalito-terapia». Il problema consiste quando queste teorie, presentate come favole suggestive, portano i credenti a eludere i controlli e utilizzare i monumenti in modo improprio: realizzando altarini con le pietre, sdraiandosi sopra e portandosi a casa qualche pezzo, nella convinzione che possa essere terapeutico in qualche modo.  

Quando diversi sostenitori di tali tesi hanno ottenuto spazio persino in tv, nella trasmissione Rai Linea Verde, la Confederazione italiana archeologi ha espresso il suo sdegno, raccogliendo anche l’appello dei colleghi Rubens D’Oriano e Francesco Carrera della Soprintendenza ai beni archeologici di Sassari e Nuoro. L’Istituto concesse alla Rai nel mese di gennaio l’autorizzazione a effettuare riprese nei siti delle tombe dei giganti. Con un post della pagina Facebook della Soprintendenza i due archeologi fecero notare che diverse loro raccomandazioni vennero totalmente ignorate durante la messa in onda. In particolare si chiedeva di non dare spazio a personale non esperto:

Tale raccomandazione è stata ribadita dalla Soprintendenza nella stessa nota di autorizzazione formale alle riprese, inviata alla Rai. Ciononostante la trasmissione ha dato voce e volto anche a dilettanti, uno dei quali del tutto indebitamente definito “archeologo” nel sottopancia, che da anni propugnano assurdità pseudoscientifiche che grave danno arrecano alla corretta divulgazione e valorizzazione dei beni archeologici dell’Isola.

Pseudoscienza e multidisciplinarità

La polemica poteva finire così. Invece si protrae tutt’oggi, con l’invito rivolto agli archeologi da parte dei sostenitori delle tesi alternative ad aprirsi alla «multidisciplinarità». Il suggerimento di per sé può sembrare corretto, ed effettivamente l’archeologia è già aperta alla multidisciplinarità, dovendo collaborare con storici, paleontologi, antropologi, ma anche con chimici e biologi. Se però leggiamo a quali discipline si riferiscono i guru della megalito-terapia qualche dubbio potrebbe venire. Tra gli strumenti elencati con cui si dovrebbe registrare l’energia invisibile dei megaliti, degni di nota troviamo: la «fotografia Kirlian», il «Brain olotester» e la «rabdomanzia». Tutte derivate da discipline pseudoscientifiche, ovvero dimostratesi prive di fondamento, anche a livello multidisciplinare. 

Il continuo svilimento dei beni archeologici

Abbiamo contattato l’archeologo e debunker Rubens D’Oriano il quale ha spiegato a Open quali sono i pericoli che la disinformazione in questo campo può arrecare ai monumenti archeologici.

In cosa consiste questa tesi dei monumenti che emanano energia?

«Ci sono diversi personaggi i quali da vent’anni sostengono che le Tombe dei giganti sono strutture costruite sopra fonti di una misteriosa energia, alcuni probabilmente le avrebbero rilevate usando un bastone da rabdomante, ma ci sono collegamenti con varie altre tesi pseudoscientifiche. Inoltre, sostengono che queste fonti di energia abbiano capacità terapeutiche. La gente deve quindi sdraiarsi e sedersi, sostando diverse ore sopra le strutture, alcuni appoggiano sopra bottiglie d’acqua e amuleti in modo che assorbano “energia positiva”».

C’è qualche Tomba dei giganti in particolare ch’è stata presa di mira?

«Il fenomeno interessa principalmente la zona di Palau, quindi la tomba di Li Mizani, le tombe di Arzachena e Olbia. Però la cosa va pian piano espandendosi».

Alcuni hanno rimproverato agli archeologi di non essere sufficientemente aperti.

«Dal punto di vista scientifico se c’è un’energia specifica nelle Tombe dei giganti lo si deve rilevare con strumenti seri, usati da veri esperti, che facciano rilevamenti analoghi anche in siti di controllo dove non sono presenti questi monumenti. Per quanto riguarda il presunto potere terapeutico, anche quello andrebbe dimostrato con esperimenti a doppio cieco, come previsto anche in medicina: si analizzano dei gruppi prima e dopo la visita alle tombe, confrontando con dei gruppi che non ci sono stati affatto, in modo da vedere se si riscontrano risultati reali». 

Che danni possono fare questi «viaggi della speranza» presso le tombe?

«Finché queste persone si sdraiano a terra danno al monumento non ne fanno, se non alla sua dignità. Purtroppo però arrivano anche a sdraiarsi sulle pietre delle strutture, ci camminano sopra, ne spostano le pietre per farne piccoli altari, in alcuni casi se le portano proprio via. Questo non è ammissibile in nessun sito archeologico del Mondo».

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