Intelligenza artificiale, chi saranno i disoccupati digitali del futuro

Il mercato del lavoro è uno dei punti a cui si guarda con più attenzione quando si parla di tecnologie in grado di prendere da sole decisioni complesse. Jerry Kaplan, uno dei personaggi più noti della Silicon Valley ne ha parlato a Milano, per il lancio della Digital Week

Jerry Kaplan è uno dei pionieri della Silicon Valley. Una di quelle figure a metà tra lo scienziato e l’imprenditore che hanno contribuito a creare l’avamposto del futuro nel Sud della California. Ha creato un sito di aste online prima di e-Bay ed è stato fra i primi a intuire che i tablet potevano avere il loro spazio di mercato. Ora insegna a Stanford, nel dipartimento di informatica.


La sera di martedì 12 febbraio è arrivato a Milano, per la conferenza di lancio della Milano Digital Week, la settimana di eventi sotto il Duomo dedicati all’innovazione che si terrà dal 13 al 17 marzo. Al centro di questi appuntamenti ci sarà l’intelligenza artificiale, quell’insieme di tecnologie in grado di replicare processi simili a quelli dell’intelligenza umana che un po’ affascinano e un po’ spaventano. Soprattutto quando si parla di lavoro.


L’intelligenza artificiale e il furto dei posti di lavoro

«Non dovremo preoccuparci, i robot non berranno il nostro vino, non ci ruberanno le nostre donne e non compreranno le case più belle». Appena sale sul palco della Fondazione Feltrinelli, Jerry Kaplan tranquillizza la sala. Non è in arrivo un robot stile Terminator pronto a distruggere chiunque si trovi davanti a lui.

Quello che è cambiato, davvero, nelle macchine è il modo di percepire quello che hanno attorno. «Riusciremo a costruire macchine in grado di percepire l’ambiente in un modo che ancora non immaginiamo. Un esempio sono i robot che stanno arrivando nelle case in grado di pulire i pavimenti e riconoscere gli ostacoli».

Tra etica e usi dei robot, una delle questioni più importanti che riguardano l’intelligenza artificiale è il rapporto con il mondo del lavoro. A questo tema ha dedicato un video anche Davide Casaleggio, che noi di Open abbiamo analizzato fotogramma per fotogramma.

Sull’impatto di queste tecnologie sull’occupazione Kaplan si è mostrato molto sereno: «Leggo titoli sui giornali tipo “Il 50% dei posti di lavoro verranno sostituti dalla macchine” ma torniamo indietro di 50 anni. Il 60% dei lavori che esistevano ora non esistono più. Quello che sta succedendo è che ci saranno molti nuovi posti di lavoro, verranno richieste competenze diverse rispetto a quelle di oggi».

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Jerry Kaplan, uno dei pioneri della Silicon Valley

Il problema quindi non sono tanto i numeri. È quello che succede nelle fase di transizione, quando le vecchie competenze non serviranno più: «A scomparire per primi saranno i lavori di routine. Quelli che invece si salveranno sono quelli in cui è importante la relazione. Nessuno vuole arrivare a fine giornata e raccontare i suoi problemi a un barman robotico».

E quelli che resteranno completamente fuori? Il fenomeno ha un nome chiaro, che identifica già il problema. «Nelle diverse ondate di automazione che ci sono state si è verificata quella che si chiama disoccupazione tecnologica. Qui devono essere i governi a capire quali sono gli strumenti migliori da usare per aiutare le persone a rientrare nel mercato del lavoro».

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