Un videoclip sull’Olocausto, i Rammstein finiscono sotto accusa

Dirette da Specter Berlin, le immagini di Deutschland intrecciano la crudezza di vari episodi violenti della storia della Germania con spettacolari allegorie 

Appena rilasciato, il nuovo videoclip dei Rammstein è già finito sul patibolo. Il gruppo metal tedesco pubblicherà il 17 maggio il suo settimo album, ma il lancio è stato minato dalle polemiche sorte in seguito alla pubblicazione del video del singolo Deutschland. Diretto da Specter Berlin, il clip di 9 minuti intreccia la crudezza di vari episodi violenti della storia della Germania con spettacolari allegorie della stessa.


Nel ritornello, il vocalist Till Lindemann, che nel video appare decapitato e poi baciato da una regina, canta:


Germania, il mio cuore in fiamme, vuole amarti e condannarti, Germania, il tuo respiro è freddo, così giovane eppure così vecchia.

Tra gli episodi narrati, l’Olocausto. Attori e cantanti figurano infatti appesi a dei cappi, con il tipico pigiama a righe dei detenuti dei lager, uno ha una stella di David cucita sulla giacca. Frapposti tra scene di battaglie medievali e trucidi sgozzamenti, appaiono scene che ritraggono gerarchi nazisti seduti attorno a un tavolo, che danno un calcio al masso che sostiene gli impiccati mentre fumano una sigaretta. Poi saranno giustiziati a colpi di fucile in faccia.

L’uso di queste immagini ha indignato molti spettatori, in particolare Charlotte Knobloch, sopravvissuta all’Olocausto e presidente del Concilio centrale degli ebrei in Germania. In un’intervista al giornale Bild l’86enne ha affermato: «Con questo video, la band ha oltrepassato una linea rossa. La strumentalizzazione della trivialità dell’Olocausto, come mostrata nelle immagini, è irresponsabile».

L’attuale presidente del Concilio, Josef Schuster, ha aggiunto: «Chiunque utilizzi l’Olocausto a scopo di marketing agisce in modo deplorevole e amorale». Al coro si è aggiunto Felix Klein, a capo dell’ufficio tedesco sull’antisemitismo, che ha detto: «Penso sia uno sfruttamento della libertà artistica di cattivo gusto».

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