Marino assolto per lo “scandalo scontrini”: «Mi hanno infangato, provocando dolore a me e alla mia famiglia»

Accusato di peculato e falso, era stato assolto in primo grado e condannato in appello. L’ex sindaco si toglie qualche sassolino dalla scarpa: «Mi sono state rivolte accuse infondate e infamanti e finalmente oggi è chiaro e tutti, anche a coloro che mi hanno infangato provocando dolore e imbarazzo a me e alla mia famiglia»

Settembre 2015. Lo scandalo degli scontrini convince il Partito Democratico, allora guidato da Matteo Renzi, a silurare la Giunta di Ignazio Marino, consegnando – di fatto – Roma al Movimento 5 Stelle. Aprile 2019: la Corte di Cassazione annulla, senza rinvio, la condanna a due anni di reclusione per peculato e falso. Dopo quattro anni, Ignazio Marino è assolto in via definitiva perché «Il fatto non sussiste». Per conoscere le motivazioni della sentenza bisognerà aspettare 90 giorni. Nel settembre del 2015, Marino era stato accusato di aver pagato 26 cene, avvenute al di fuori degli impegni istituzionali, con la carta di credito del Comune di Roma. Spesa totale: 13 mila euro. L’ex sindaco era stato indagato per peculato e falso: accuse da cui era stato assolto in primo grado e condannato in secondo. Quando esplose lo “scandalo scontrini”, Marino fu attaccato duramente dall’opposizione, in particolare dal Movimento 5 Stelle. Ma fu dal suo stesso partito che arrivarono le spallate più poderose: dopo la vicenda della Panda rossa parcheggiata in doppia fila, l’ex sindaco fu preso di mira per le sue missioni all’estero.


Una, in particolare, suscitò molte polemiche. Agosto 2015: mentre i Casamonica celebravano il funerale del capofamiglia Vittorio con carrozze, Rolls Royce (ed elicotteri) in corteo in pieno centro, Marino era negli Usa, ovviamente per una missione ufficiale. La “scusa” non bastò a placare gli animi. La commissione capitolina Trasparenza fu convocata proprio per discutere di questo viaggio. Alla fine Marino decise di pubblicare l’elenco dei viaggi e delle spese sostenute nei suoi primi (e ultimi) anni da sindaco: 28 missioni (in Italia e all’estero), spesa totale 27 mila euro. Cifre in linea con quelle dei suoi predecessori. 


Dopo quella vicenda, l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, convocò un consiglio dei ministri in cui si decise che Marino sarebbe stato affiancato nella gestione della capitale dall’allora Prefetto Franco Gabrielli, anche perché di lì a poco sarebbe cominciato il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco. La vicenda “scontrini”, cominciata nel settembre del 2015, chiuse, di fatto, l’era Marino. Un mese dopo, 26 consiglieri, tra cui quelli del Pd, si dimisero dall’Assemblea capitolina, provocando lo scioglimento della giunta. «Sono stato pugnalato – disse Marino nella conferenza stampa d’addio – ma il mandante è solo uno». 

La reazione dell’ex sindaco di Roma

Intanto Ignazio Marino ha commentato la sentenza: «Hanno vinto la verità e la giustizia. Era ora. La sentenza della Cassazione non rimedia ai gravi fatti del 2015, alla cacciata di un sindaco democraticamente eletto e di un’intera giunta impegnati senza fare compromessi per portare la legalità e il cambiamento nella capitale d’Italia. Una ferita per la democrazia che non si rimargina». A differenza del giorno in cui ha lasciato il comune di Roma, Marino preferisce non dare spazio a polemiche, per ora: «Oggi è il tempo delle considerazioni personali. E non posso che ripetere a testa alta ciò che ho sostenuto dal primo giorno in cui mi sono state rivolte accuse infondate e infamanti: non ho mai utilizzato denaro pubblico per finalità private. È piuttosto vero il contrario. E finalmente oggi è chiaro e tutti, anche a coloro che mi hanno infangato provocando dolore e imbarazzo a me e alla mia famiglia».