Caso Siri, è il giorno della verità. Salvini riunisce i suoi prima del Consiglio dei ministri
È il giorno della verità per il caso Siri, almeno per quel che riguarda la declinazione politica della vicenda che vede coinvolto il sottosegretario leghista alle infrastrutture. Nella riunione in Consiglio dei ministri, cominciata con quasi un’ora di ritardo alle 10.40, si sta discutendo la proposta di revoca avanzata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte di ritirare le deleghe al sottosegretario indagato per corruzione in caso di mancate dimissioni.
A quanto si apprende,Conte sta illustrando in Cdm le sue motivazioni alla base della revoca. Motivazioni che lo stesso premier ha definito «oggettive», e che lo hanno indotto a chiedere il passo indietro del sottosegretario ArmandoSiri.
Prima del Consiglio dei ministri, in prima mattinata, il vicepremierMatteo Salvini ha riunito i ministri della Leganell’ufficio del sottosegretario di Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti. Non ci sarebbero stati contatti diretti tra M5s e Lega. Assenti dalla riunione in Cdmil ministro dell’Economia Tria e quello degli EsteriEnzo Moavero.
Siri aveva anticipato la conferenza stampa in cui il premier ha comunicato la sua decisione, con una nota in cui dichiarava di rendersi disponibile alle dimissioni, nel caso in cui non non fosse stato ascoltato dagli inquirenti entro 15 giorni. Di Maio aveva perentoriamente commentato la posizione del sottosegretario leghista come«una furbata».
Al consiglio dei ministri ci sarà naturalmente Matteo Salvini e probabilmente tutti gli altri ministri leghisti. Potrebbero essere assenti il ministri degli Esteri Moavero Milanesi, impegnato in una missione in Vietnam, e quello dell’Economia Giovanni Tria che si trova al forum di Parigi. Le presenze e il peso delle diverse forze politiche all’interno del vertice non peseranno però sulla decisione sul caso Siri: non ci saràun voto e non ci sarà conseguentemente una conta.
Ma Conte dovrà ascoltare il consiglio e non è da escludere che qualcuno, evidentemente dalle parti della Lega, voglia mettere nero su bianco la propria disapprovazione nei confronti dellascelta del premier: certo non l’apertura di una crisi, ma un ulteriore raffreddamento dei rapporti dopo le recenti parole di Salvini: «Mi sembra evidente che con M5s ci sia una spaccatura su Siri e non solo su questo.
C’è una differenza di vedute sulla Tav, sull’Autonomia, sull’immigrazione». Su Siri c’era stato anche un botta e risposta fra i due vicepremier. Di Maio aveva detto «Da noi chi sbaglia è fuori in 30 secondi. La Lega faccia lo stesso con Siri»; il leghista aveva replicato: «Solo chiacchiere telefoniche, la colpa va dimostrata».
Conteaveva cercato di gettare acqua sul fuoco: «La situazione è molto chiara, il mio percorso è stato sempre lineare. Non è stata una decisione che ho preso a cuor leggero. Vedrete che domani ci sarà un Cdm molto sereno». Ma giovedì 9 maggio ci sarà un altro momento importante nello sviluppo della vicenda, questa volta sul fronte giudiziario. L’avvocato di Armando Siri ha infatti comunicato che lo stesso Siri il 9 maggio depositerà una memoria difensiva spontanea «al precipuo fine di rappresentare i rapporti con Paolo Franco Arata».
Il caso Siri-Arata, rispetto agli altri puntidi scontro all’interno del governo, potrebbe essere il primo in cui Matteo Salvini si troverà costretto a cedere su tutta la linea agli alleati del Movimento 5 Stelle. Quell’accusa, «corruzione», è per i pentastellati un tabù che non possono permettersi di abbattere, soprattutto a meno di tre settimane dal voto delle europee. Oltre alle intercettazioni agli atti e ai presunti legami di Siri con Arata, per i pentastellati peserebbe sulla Lega anche l’assunzione del figlio dell’imprenditore a Palazzo Chigi voluta, dicono, dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti.
Insomma, la Lega potrebbe decidere, anche se a malincuore, di accettare di piegarsi alla posizione dei 5 Stelle su Siri per chiudere in qualche modo le vicende che ruotano attorno alla figura di Arata: un piccolo segnale di debolezza prima di ripresentarsi, presumibilmente fortissimi e a pesi elettorali invertiti, al tavolo del governo all’indomani delle elezioni europee.
Ma come avviene la revoca di un sottosegretario?
Nel caos politico, pochi hanno prestato attenzione a quello che dice la normativa: se un sottosegretario è nominato con decreto del presidente della Repubblica, anche sollevarlo dall’incarico dovrebbe seguire la stessa procedura. Non è dunque necessaria una votazione del Consiglio dei ministri, anzi: sostanzialmente dovrà essere Giuseppe Conte a decidere se proporre o meno a Mattarella le revoca dell’incarico.
La legge numero 400 del 1988 sull’attività del governo è il faro in questi casi. L’articolo 10 recita:«I sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri». Nel linguaggio legislativo, “sentire il Consiglio dei ministri”, significa che il voto dell’esecutivo non è previsto dalla procedura e non è determinante nella scelta finale, che quindi spetta solo a Conte.
Il documento che avvia la procedura di revoca dell’incarico è già pronto e il premier lo porterà al Consiglio dei ministri l’8 maggio. Ma non per metterlo ai voti, dunque, semplicemente per informare i ministri. Il capo del governo propone la nomina dei sottosegretari, il capo del governo chiede la revoca. Atti suggellati poi dal presidente della Repubblica. E i ministri, soprattutto della Lega, potranno esprimere parere contrario: ma la scelta spetta solo a Giuseppe Conte.