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Diamo troppi soldi all’Unione europea e ne riceviamo pochi?

25 Maggio 2019 - 18:00 David Puente
Il bilancio è negativo, ma non solo per l'Italia. E i benefici economici che derivano dall'appartenenza all'Unione sono tanti: ignorarli sarebbe un errore

Dal sito della Commissione europea è possibile scaricare le statistiche relative ai contributi inviati all’Unione europea da ogni singolo Stato membro e quanti invece ne ricevono. I dati variano di anno in anno: l’Italia nel 2017 – ultimo anno attualmente disponibile – aveva versato 12 miliardi di euro per riceverne 9,765 miliardi, mentre nel 2016 ne aveva versati 14,827 per riceverne 11,592 miliardi.

Come Italia siamo messi male? In realtà siamo tra i primi Stati membri per fondi ricevuti. La Germania nel 2017 aveva versato 19,587 miliardi per riceverne 10,926, mentre nel 2016 ne versò 21,276 ricevendone 10,082. Nella seguente tabella, pubblicata nel 2016 dalla Corte dei Conti e che tiene conto solo dei dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, possiamo osservare come dal 2009 al 2015 la Germania al netto dei contributi versati e ricevuti sia ampiamente in negativo, mentre paesi come la Grecia hanno ricevuto più fondi di quelli versati:

C’è da precisare che non è sempre andata così, come riporta Il Sole 24 Ore in un articolo del 2018:

Tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Novanta, invece, l’Italia è stata nella posizione di beneficiario netto, ovvero ha ottenuto più soldi dall’Europa di quanti ne abbia messi nel bilancio comunitario.

I principali beneficiari attuali sono i paesi dell’Est, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, che oggi vengono contestati perché non sono disposti a riformare il regolamento di Dublino per accogliere quote obbligatorie di migranti provenienti, per esempio, dall’Italia.

Torniamo però all’Italia. Come mai riceviamo poco rispetto a quanto diamo? La Corte dei conti precisa:

Inoltre, la dinamica degli accrediti dipende anche dalla capacità progettuale e gestionale degli operatori nazionali, e dall’andamento del ciclo di programmazione, e quindi il saldo netto negativo non è di per sé espressione di un “trattamento” deteriore per l’Italia rispetto a quello di Paesi che si suppongono più avvantaggiati.

Tutto questo ci conviene? Anche qui la Corte dei conti precisa:

La sola considerazione dei saldi finanziari (costantemente negativi per il nostro Paese) non esaurisce naturalmente l’analisi economica dei costi e dei benefici derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

Infatti, dobbiamo considerare i benefici economici quali l’accesso senza barriere e dazi all’interno del Mercato unico (il 56% delle esportazioni italiane avviene all’interno dell’UE), i benefici relativi alla salute alimentare – ricordiamo banalmente la bufala del prosciutto cinese e dei regolamenti europei – e della certificazione dei prodotti di consumo, così come al peso politico di un’Europa unita nella discussione e nella capacità di negoziazione con altre potenze come Stati Uniti, Russia e Cina.

Per fare un altro esempio pratico, la Commissione europea ricorda che i fondi distribuiti ad uno Stato membro possono circolare anche a favore delle aziende degli altri Stati, come nel caso dell’impresa italiana Astaldi che ha ricevuto una commessa di 112 milioni di euro per ammodernare una linea ferroviaria in Bulgaria grazie ai fondi ricevuti da quest’ultima dall’Unione europea.

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